Sony e Naughty Dog chiudono la generazione PlayStation 4 con un gioco destinato a restare nella storia dell'intrattenimento videoludico.
Passano gli anni, duri e interminabili, e persino il mondo implacabile e lacerato di The Last of Us comincia a sembrare tollerabile. Perché se è vero che l'umanità è spacciata, perduta assieme alla speranza di una cura, lo scriteriato attaccamento alla vita di chi è sopravvissuto all'infezione sembra in qualche modo più tenace del cordyceps. Le masse caliginose di spore letali, le creature depravate dal parassita, deturpate e spaccate dalle sue propaggini schifose, e ancora i predoni inclementi e rabbiosi, sono tutte cose con cui in fondo è possibile convivere. Condannati al martirio di un'esistenza pericolosa e fugace, insomma, tanto vale cercare, nel tempo che si ha a disposizione, un nuovo equilibrio. È quello che Joel ed Ellie sembrano aver raggiunto, con fatica, tra le mura di Jackson. C'è voluto del tempo, e uno sforzo di dolorosa accettazione. E un po' di musica, diffusa dalle corde di una vecchia chitarra, come una profezia che parla di Giorni Futuri.
Il racconto di The Last of Us Part II comincia proprio spiegando quanto sia difficile andare avanti, sopportarsi, coltivare un rapporto nato per necessità e protetto da una bugia a cui non è possibile credere. Il gioco affronta subito l'argomento, ingombrante al punto di averci "tormentato" per tutto questo tempo, marchiato a fuoco nella nostra memoria di giocatori. Proprio a partire da quel dettaglio, da quella scelta così umana e al contempo così scellerata, che possiamo considerare il "peccato originale" di Joel, il gioco costruisce un intreccio narrativo monumentale e impeccabile: una trama travolgente, instancabile, che per trenta ore smonta e sconvolge ogni convinzione dell'utente, portandolo a rivalutare ogni personaggio, a riflettere persino su sé stesso e sui propri principi etici e morali.
Basterebbe questo per rendere The Last of Us Part II un prodotto prezioso, un altro grande tassello nel lungo percorso di maturazione del videogioco e di affermazione di una nuova autorialità, che metta in discussione il ruolo dell'immedesimazione e sfrutti l'interazione come strumento critico, e non solo come mezzo per amplificare l'immersione. Basterebbe, ma il secondo The Last of Us è molto di più di questo. Ad esempio, è un gioco più completo, diversificato e strutturato di tanti altre pietre miliari del settore, è un kolossal interminabile che esplora con instancabile curiosità una gamma impressionante di linguaggi; è una sfida continua e stimolante, e pure una lezione di vita. È un prodotto che, ancor più di quanto non lo facesse il suo predecessore, mette al centro della scena meccaniche ludiche eccezionali e rifinite, intrecciandole con una storia indelebile. Fatta di piccoli dettagli infinitesimali che ti si incollano addosso e non ti lasciano più, vera come le persone di cui racconta; spietata, tragica e spaventosa, e dolce, e piena di speranza. E immane. Come una vita.
La forza della rabbia: una storia di vendetta
Il fatto straordinario non è che The Last of Us Part II decida di narrare una storia di vendetta, sentimento di per sé sconsiderato e pericoloso, ma che lo faccia senza dare nessun giudizio morale esplicito. Al centro della vicenda non c'è un personaggio che si sente nel giusto, mosso da un valore positivo. Per quanto aggressivo ed egoista, il Joel del primo capitolo aveva scelto di viaggiare attraverso l'America per una causa nobile, mentre l'impulso che oggi muove Ellie è primitivo e viscerale.
L'evento che sconvolge per sempre la vita della protagonista, che la spinge a cercare una rivalsa violenta, riempie di rabbia anche chi stringe in mano il pad, ma non è detto che convinca il giocatore ad abbracciare un desiderio tanto drastico e irresponsabile. La partenza di Ellie è triste e malinconica come quella dei condannati, e fin dal primo momento le domande si affollano nella testa dell'utente.
Naughty Dog cerca da subito un rapporto nuovo fra giocatore e protagonista: non più un'identità integrale fra questi due poli del racconto - una sorta di fusione empatica - ma invece una distinzione netta delle due entità. Ellie è un personaggio autonomo, con le sue ragioni e le sue debolezze; imperfetta (e per questo così vera) al punto da "allontanare" il giocatore. Un cambiamento deciso e potente si avverte non solo nella gestione dei protagonisti, ma anche nelle tempistiche e nello stile del racconto. Il primo The Last of Us era asciutto, essenziale, figlio di un'economia narrativa con cui il team aveva selezionato i momenti-simbolo di un viaggio lungo un anno. I tagli improvvisi, il nero invadente dello schermo accompagnato da un silenzio assordante, persino le note solitarie della colonna sonora servivano ad amplificare l'efficacia di quest'attenta selezione.
The Last of Us Part II prende una strada completamente diversa, sulle prime quasi spiazzante, perché decide di raccontare distesamente ogni attimo, concedendo alle varie scene un respiro diverso, dilatato. Un cambiamento integrale che dipende da una nuova filosofia narrativa e produttiva: da una parte Druckmann sembra aver deciso che le scelte e le prospettive dei suoi personaggi non sono definite soltanto da pochi eventi-chiave, ma da un insieme denso di frangenti infinitesimali che si accalcano uno sull'altro, come un pulviscolo di ricordi; dall'altra il team di sviluppo ha abbracciato l'ambizione di raccontare tutto, senza trattenersi.
Se la trama del primo capitolo seguiva il lento gocciare delle stagioni nel corso di un anno, qui la maggior parte degli eventi è condensata in una manciata di giorni, che passano lenti e furiosi in un crescendo poderoso. Non c'è più bisogno di sfrondare, di comprimere, perché ogni istante è significativo, pieno.
L'abilità del team nel creare un intreccio articolato e potente non è svanita, e anzi si manifesta nei lunghi flashback che all'improvviso portano il giocatore indietro di qualche anno, mostrandogli qualcosa in più di ciò che è successo nel tempo che separa le due produzioni. Questo sorprendente andirivieni si trasforma, in certi momenti e soprattutto sul finale, nello strumento per tenere il giocatore in uno stato di irrequieta sospensione, svelando poco a poco i pezzi di un puzzle semplicemente perfetto. Il rapporto con un racconto del genere è ben diverso rispetto a quello che si può innescare con il primo capitolo. Mancano quei lampi impressionanti che ti lasciavano senza fiato, manca lo sbigottimento immediato, persino l'inaspettata sensazione di vuoto di fronte ad un finale sospeso.
La visione d'insieme si compone gradualmente, dandoti il tempo di riflettere sui personaggi, sulle loro motivazioni, sulle conseguenze delle loro scelte. È insomma una storia che ti entra sotto pelle, piano piano, e poi si risveglia quando meno te lo aspetti - persino giorni dopo i titoli di coda - strappandoti una lacrima malinconica e solitaria. The Last of Us 2 ti resta dentro, ti strazia senza preavviso: con un accordo musicale, con un particolare apparentemente impercettibile eppure così pieno di significati, con la consapevolezza di averti fatto crescere. Come giocatore, e come persona.
Mescolanza di generi
The Last of Us Part II è un prodotto molto più ludico del suo predecessore. E molto più bilanciato; perché è vero che la componente narrativa del primo capitolo era tanto "ingombrante" da mettere in ombra alcuni frangenti giocati pad alla mano. L'esperienza dilatata del sequel assottiglia i confini fra scena d'intermezzo e sequenza interattiva, lasciando che il giocatore scivoli dentro e fuori dalle cut-scene, morbidamente, quasi senza accorgersene. Ma sia chiaro che questo processo, questa transizione delicata, non si verifica con troppa insistenza, perché le sezioni di gioco sono tante, estese, sconfinate.
La quantità di materiale assemblata da Naughty Dog, la varietà di situazioni e di contesti, l'estensione e la diversità delle aree non hanno nessun paragone in questa generazione, neppure prendendo in considerazione i più vasti open world che popolano il mercato. Il rapporto fra densità ed estensione, in The Last of Us Part II, è semplicemente miracoloso: un prodigio produttivo che continua a lasciare senza fiato dopo decine di ore di gioco.
Il gameplay alla base della produzione prospera sulle fondamenta gettate dal capostipite: Naughty Dog esplora il canone dell'action survival, mescolando fasi stealth, raccolta e ottimizzazione dei materiali, e scontri a fuoco intensi e tesi, faticosi e violenti. Come vedremo, tutti gli elementi che compongono le meccaniche di gioco risultano non solo ampliati e potenziati, ma resi letteralmente sublimi dal loro incontro con i due fattori che più sottolineano il distacco con tutti gli altri prodotti di questa generazione: il level design e l'intelligenza artificiale.
È vero però che questo momento di perfezione si manifesta dopo diverse ore di gioco, quando il team di sviluppo decide di rompere gli indugi, a seguito di una lunga sequenza che sembra quasi introduttiva, a suo modo "didattica". Nella prima parte del percorso, Naughty Dog sembra voler fare una sorta di riassunto, andando pure a recuperare alcune tematiche e alcune situazioni già viste nel primo capitolo e nel meraviglioso Left Behind. A parziale risarcimento di chi potrebbe trovare questi elementi un po' ridondanti (per quanto ridondante possa essere un raro momento di sintonia con quel mondo solitamente troppo violento), c'è comunque una cornice diversa da quella a cui The Last of Us ci ha abituati: un'area vastissima da esplorare liberamente, proprio come quella che si trovava al centro dell'Eredità Perduta. Non è una concessione all'open world, ma un punto d'incontro spettacolare tra un level design ricco e meticoloso ed una zona apparentemente enorme, piena di edifici, di segreti, di zone completamente opzionali.
Sarà questa l'unica concessione alla progressione generalmente lineare tipica dei prodotti Naughty Dog (nonché l'unico momento in cui il motore di gioco farà un po' di fatica a gestire lo spettacolo visivo approntato dal team): una piccola "digressione" che, proprio per come è posizionata, non diluisce l'intensità dell'avventura e resta impressa nella testa del giocatore (forse anche come se fosse la traccia un futuro possibile, il primo vagito di un'evoluzione che il genere potrà avere nella prossima generazione).
Un gameplay allo stato dell'arte
Smaltite le formalità preliminari, terminato questo lungo corteggiamento fatto di dolci memorie, The Last of Us Part II comincia a fare sul serio. Nel frattempo il giocatore avrà potenziato quanto basta l'equipaggiamento di Ellie, avrà sbloccato le abilità necessarie a costruire nuovi oggetti, e l'impianto ludico si sarà fatto più concreto e stratificato. C'è un frangente preciso in cui tutte le possibilità concesse in dote alla protagonista troveranno finalmente sfogo, grazie alla costruzione dei livelli e alla determinazione dell'IA.
The Last of Us è pensato anzitutto per integrare alla perfezione tutti i suoi sistemi, lasciando che non siano dei "compartimenti stagni", ma facendo in modo che il giocatore passi agevolmente, e quasi senza accorgersene, dall'uno all'altro. Raccogliere i materiali, dedicarsi allo scavenging direttamente sul campo di battaglia, è fondamentale per trovare e costruire gli oggetti utili a cavarsi d'impaccio. Azione ed esplorazione si intrecciano costantemente, così come stealth e sparatorie.
Nei panni di Ellie ci troviamo a portare avanti un'azione di guerriglia meticolosa e spietata, fatta di assalti silenziosi, di fucilate improvvise, di fughe repentine. Il level design è architettato alla perfezione affinché ogni area possa diventare il parco giochi di una sopravvissuta determinata e letale: l'inedita verticalità permette di cogliere gli avversari di sorpresa, ma impone anche una maggiore attenzione nel caso siano loro ad avere un vantaggio posizionale; le falle nei muri servono per strisciare rapidamente da una stanza all'altra, interrompendo momentaneamente la linea di vista e riorganizzandosi mentre i nemici rastrellano la zona. E poi ci sono i silenziatori e le frecce, e nuove trappole esplosive che rendono le possibilità d'ingaggio estremamente più diversificate.
Bisogna dire che il gioco dà il meglio di sé spingendo un po' verso l'alto il selettore della difficoltà: quando la scarsità di risorse impone di fare delle scelte ponderate, ad esempio di decidere se sia meglio costruire un silenziatore o una molotov, se potenziare un'arma corpo a corpo oppure realizzare una coppia di frecce, l'anima survival di The Last of Us Part II brilla di luce propria. Per fortuna che al di là dei livelli di difficoltà preimpostati, anche durante la partita è possibile modificare vari parametri, fra cui appunto la quantità di materiali disponibili e la determinazione dei nemici.
È qui che entra in gioco l'altro elemento impressionante dell'opera di Naughty Dog, ovvero l'insieme di algoritmi che regolano il comportamento degli avversari. Attenti e circospetti, i soldati del Washington Liberation Front e le Iene pattugliano le aree di gioco con cautela, cercano di coprirsi le spalle a vicenda, evitano di convergere sulla stessa posizione.
Indagano nel caso di rumori sospetti, e soprattutto comunicano tra di loro, con un sistema di trasmissione delle informazioni che è finalmente più credibile e coerente. Chi vuole evitare quanto più possibile le "stilizzazioni" tipiche dei videogame può lavorare sul selettore della difficoltà, ma sia chiaro che il lavoro del team è impressionante, per le conseguenze ludiche ma anche per quelle espressive e legate all'immersività. Sapere che ogni avversario ha un nome ed una serie di relazioni con i propri compagni, vedere le reazioni rabbiose di chi in battaglia ha perso un amico, ascoltare il lamento di un cane che guaisce sul corpo senza vita del padrone, trasmette il peso esistenziale di ogni uccisione, e amplifica quella che resta in fondo la tematica centrale del gioco: ovvero che la vendetta, violenta e rabbiosa, pretende sempre un qualche sacrificio. Una contropartita in termini di umanità.
Il mondo caduto, tra orrore e azione
Se The Last of Us Part 2 si tiene in piedi per quasi trenta ore, sostanzialmente doppiando il suo predecessore e superando qualsiasi altra produzione che aderisca allo stesso canone, il merito non è soltanto di un gameplay concreto e intenso, capace di tenere il giocatore sulle spine e di rinnovargli costantemente una sfida stimolante, ma è anche dell'ambizione smisurata di Naughty Dog, che ha deciso di produrre una quantità di contenuti sostanzialmente imponderabile.
Nel corso dell'avventura non c'è mai un'area uguale alla precedente, in un catalogo di scenari e situazioni che non sembra avere mai fine. Alle volte le zone si aprono leggermente, lasciando l'utente libero di ispezionare edifici completamente opzionali, che nascondono carte collezionabili, documenti, storie nascoste. Alla narrazione esplicita, centellinata attraverso lettere e documenti, se ne aggiunge una più sottile, composta dai corpi ingloriosi dei suicidi, da quelli martoriati dall'infezione, da quelli bruciati durante esecuzioni sommarie. È ancora un mondo truce, quello di The Last of Us, senza poesia; ma forse un po' più attento alle esigenze dei giocatori "duri e puri", almeno in termini di contenuti secondari e libertà d'esplorazione.
L'alternanza tra le varie fazioni ostili, tra i lupi del Washington Liberation Front e le iene che venerano il credo della profetessa, amplifica ancora di più una varietà sostenuta anche dalla presenza degli infetti, abbondantemente utilizzati in momenti più tetri e destabilizzanti. Anche solo l'assortimento di armi che si ottengono nella seconda metà dell'avventura basterebbe comunque a dare un sapore nuovo a molte sequenze, a cambiare in maniera sottile ma concreta il ritmo dell'azione. Da questo punto di vista The Last of Us Part II supera ogni più rosea aspettativa, traboccante com'è di scene memorabili.
Fanno capolino, ad esempio, i furiosi inseguimenti di Uncharted, ma in una versione molto più asfissiante e oppressiva, e sbucano delle sequenze puramente horror, perfette nella loro capacità di aderire ad un altro canone e ad un altro linguaggio. Sia nelle fasi giocate che in quelle narrative l'opera di Naughty Dog si distingue per la sua molteplicità, per una ricchezza inesausta; per l'estrema curiosità con cui esplora registri diversi e apparentemente inconciliabili, dal western intimista fatto di pause e silenzi fino al fango degli war movie. L'idea è quella di stupire continuamente il giocatore, mantenendo però l'impressionante coerenza dell'universo di gioco. The Last of Us Part 2 è un titolo talmente denso che in diversi momenti del racconto vi sentirete pienamente sazi, soddisfatti e appagati: pronti ad andare oltre. E sarà proprio in quei frangenti che il gioco rilancerà ancora, spingendovi un poco più avanti, lungo un viaggio interminabile e prodigioso, di folle perdizione o di luminosa redenzione.
Grafica, suoni e animazioni
La prima cosa che salta all'occhio, osservando il gioco da un punto di vista squisitamente tecnico, è il lavoro svolto sulle animazioni. Sottolineando la qualità impeccabile del performance capture che dà vita e voce ai personaggi durante le scene d'intermezzo, anche quello che succede nelle sequenze di gioco ha dell'incredibile. Ellie si muove con una consapevolezza concreta di ciò che le sta intorno, utilizza l'ambiente a suo vantaggio quando deve neutralizzare gli avversari, sbattendoli contro al muro o addirittura spingendoli contro i vetri per metterli fuori gioco più efficacemente.
Se già il team di sviluppo si era distinto per l'impegno su questo fronte, il passo in avanti compiuto è consistente. The Last of Us Part II lascia intuire il peso degli arti, l'inerzia dei colpi, il dolore delle ferite, come mai prima d'ora era successo in un videogioco, con una crudezza ed una fisicità che lasciano a bocca aperta.
Non è secondaria, nell'economia dell'impianto tecnico, la qualità del rendering: una straordinaria prova di forza della console, che riesce a superare tutti i propri limiti, sia per quel che riguarda la quantità di oggetti, che per la definizione ed il realismo delle texture. L'utilizzo degli shader è estremamente intelligente, a tratti moderato per dare al motore l'occasione di respirare, più accentuato quando deve valorizzare scorci d'impatto o aree particolari. Rimane sensazionale anche l'illuminazione, elemento con cui il team di sviluppo gioca costantemente per concretizzare atmosfere ansiogene e oppressive.
Per fare in modo che la fluidità si mantenga stabile sui 30fps (con cali moderati che si verificano in pochissime occasioni), Naughty Dog ha giocato molto su quello che in gergo si chiama Level of Detail: ovvero sullo sfruttamento di modelli e texture meno definiti per gli elementi più lontani dalla protagonista, e quindi meno in vista. Questa tecnica non è troppo invasiva su PS4 PRO, dove si nota solamente se si ha un occhio molto allenato, mentre sulla console "liscia" la necessità di ridurre il carico computazionale determina qualche oscillazione qualitativa.
Restiamo comunque convinti che sia migliore un approccio del genere, pensato per far sì che l'esperienza possa restare fluida e senza singhiozzi. Da citare che su PS4 PRO la risoluzione è ancorata a 1440p, e sui pannelli 4K si notano alcuni artefatti visivi legati al processo di upscaling. Una minuzia che si perde nel mondo meraviglioso di The Last of Us Parte 2 e nelle sue atmosfere, in scenari che si muovono sempre tra l'incanto dell'abbandono e il delirio dell'epidemia micotica, e insomma in un insieme di suggestioni che amplifica ed espande la caratterizzazione già meravigliosa del primo episodio.
Mastodontico, infine, il lavoro sull'impasto sonoro. Un doppiaggio italiano di buon livello, in linea con gli standard a cui ci ha abituato Sony con le sue esclusive, non può ovviamente mettere in ombra l'interpretazione originale, più energica e trascinante. A stupire è però la gestione dei suoni ambientali, che da una parte simula in maniera perfetta la spazialità e la direzionalità dei rumori, dall'altra può contare su un quantitativo impressionante di campionature: indispensabili per costruire un ambiente sonoro avvolgente, una perfetta "cornice acustica" per l'eccezionale gameplay della produzione.
T
THE LAST OF US PARTE 2
The Last of Us, Parte Seconda. Anche la scelta del titolo lascia un indizio sottile sulla strada che Naughty Dog decide di percorrere con la sua produzione migliore. Ovvero quella di inscenare un racconto intrecciato col primo capitolo, mettendoci di fronte alla sua naturale e inevitabile prosecuzione. Come a dire, insomma, che ci sono scelte in grado di macchiare per sempre una vita, momenti che determinano l'ineluttabilità del proprio destino. La scelta di Joel era il culmine di un viaggio lungo e straziante, qui diventa il seme nascosto da cui germoglia una nuova storia. Una storia potente, piena di dolore, in grado di lasciare spiazzati e feriti. È un racconto che si prende i suoi tempi, dilatato e paziente: un tassello dopo l'altro compone un intreccio indimenticabile, narra di personaggi veri e della loro furia, dei loro sbagli e del tarlo violento che li consuma. È insomma una parabola che parla di espiazione e riscatto, ma anche di dannazione eterna, invitando il giocatore a riflettere. The Last of Us Part II ti rimane dentro, ben oltre i titoli di coda, spingendoti a mettere in discussione molte delle tue convinzioni. Non c'è un altro videogioco che riesca, con così tanta efficacia e senza mai imporre un proprio giudizio etico, a trasformare una storia in un momento di maturazione e di crescita. Resta poi vero che il secondo The Last of Us è una meraviglia da giocare. Un prodotto che assembla un gameplay intenso e stratificato, diversificato quanto pochi altri e capace di adattarsi ad una quantità impressionante di situazioni. Naughty Dog demolisce qualsiasi conquista pregressa in fatto di level design, costruendo un mondo credibile, coerente, concreto; e soprattutto inesauribile, traboccante di scenari indimenticabili, di scorci inaspettati, di stili e prospettive. The Last of Us Part II è un monumento al gaming e al contempo un miracolo produttivo, a cui tocca la stessa sorte del suo predecessore. Ovvero quella di chiudere una generazione facendole raggiungere il suo apice, di immortalarla in un ricordo prezioso e dolente: affilato come una lama, e inestimabile come una lacrima.
VOTO: 10