martedì 7 febbraio 2012

Kingdoms of Amalur Reckoning. Recensione!





Fino a qualche tempo fa si diceva che l’epoca degli RPG era finita e che il genere, nella sua accezione migliore, era rimasto legato indissolubilmente alla Playstation 2, macchina sulla quale -questo è certo- si sono visti girare molti dei migliori Giochi di Ruolo di sempre. Ultimamente questa dicieria è stata largamente smentita, grazie soprattutto ad alcune produzioni di livello come Fallout, Mass Effect, Dragon Age, Skyrim e Xenoblade, che hanno fatto ri-scoprire, se così possiamo dire, l’amore per le avventure durevoli, dove immergersi totalmente e seguire passo passo la crescita del proprio alter ego.
Sull’onda dell’entusiasmo di un 2011 particolarmente ricco da questo punto di vista, il 2012 comincia proprio all’insegna del Role Playing Game. Kingdoms of Amalur, in un certo senso, è infatti la risposta di Electronic Arts (che prova oramai a dominare ogni settore dell’industria) allo strapotere che in questo momento detiene Skyrim. Con alle spalle personaggi del calibro di Ken Rolston e Todd McFarlane, la produzione 38 Studios e Big Huge Games promette faville. La demo giocabile, tuttavia, non ha convinto la gran parte degli scaricanti, e siamo dunque qui oggi per verificare -con un codice completo- se veramente si tratti di un’occasione mancata.
Il titolo, in arrivo su Xbox 360, Playstation 3 e PC, sarà disponibile a partire dal 10 Febbraio.

Come in ogni avventura fantasy che si rispetti anche in Kingdoms of Amalur inizieremo, dopo aver scelto la razza alla quale appartenere (tra quattro) ed i lineamenti somatici (tramite un editor piuttosto conciso), da perfetti sconosciuti. Anzi, ancora meglio: da cadaveri. Scopriremo, dopo esser stati gettati in un fantomatico "Pozzo delle anime", di essere i primi ad beneficiato della resurrezione per la quale lo stesso è stato progettato. Un breve incontro con Fomorous Hugues -il suo creatore- ci metterà di fronte ad una spiazzante serie di interrogativi, la cui risposta dovrà attendere almeno la rocambolesca fuga, che lascerà indietro il malcapitato. Dalle parole di Agarth (il Tessitore che tenterà di leggere il nostro Fato) ed Aryel (misteriosa Guerriera a conoscenza del nostro passato), apprenderemo di poter diventare pedine fondamentali in una decennale battaglia, che sta vedendo gli esseri umani soccombere ai piedi dei Tuatha, una razza oscura guidata da una malvagia divinità (Gavendor) il cui scopo ultimo è semplicemente l'annienamento di ogni forma vivente.
Comprenderemo, dalle criptiche parole del Tessitore (una sorta di chiromante), di essere l’unica creatura il cui Destino non è ancora stato scritto: i soli in grado di plasmare a piacimento la propria sorte e, così facendo, salvare il Regno di Amalur dall’oscurità. Grosse responsabilità da portare avanti all'interno di un intreccio narrativo che coinvolgerà un'infinità di possibili alleati (Mercenari, Ladri, Itineranti...), con gilde sparse in tutto il continente e membri appartenenti alle razze più disparate: dagli immortali Fae (gli Elfi di Amalur) ai meno fieri ma altrettanto abili Gnomi, esperti nelle arti alchemiche e nella forgiatura.
Un viaggio ricco di sfaccettature che ingrana con il passare delle ore, mostrandosi inizialmente fumoso e poco intrigante. Le primissime ore, a dispetto di un buon piglio recitativo dei personaggi, non riescono ad intrigare come Skyrim, ad esempio; la colpa va equamente divisa tra unanarrazione troppo frammentata dall'esorbitante quantitativo d'incarichi secondari in cui "inciamperemo", e la mancanza di un'efficace contestualizzazione della linea principale, che si protrae per l’intera avventura. Nel capolavoro Bethesda si sente continuamente parlare del Dovahkiin, dei Draghi e della rivalità fratricida tra Imperiali e Manto della Tempesta; qui, invece, tutto tace, lasciando trasparire una certa "sconnessione" tra un villaggio e l'altro, tra una subquest e l'altra. Come se il nostro fosse un incarico riservato soltanto all’avatar ed ai comprimari con cui verremo a contatto tra un’incarico e l’altro nella linea narrativa principale. Con il passare delle ore, benché quest’aspetto rimanga immutato, la trama evolve verso situazioni che ricordano da vicinoIl Signore degli Anelli (anche qui c’è un oscuro signore che crea una stirpe immortale per distruggere e dominare gli altri esseri viventi, ad esempio), e conferiscono alla vicenda solidità ed un aspetto decisamente interessante.
Un'atmosfera complessivamente meno coinvolgente non impedisce comunque di rimanere assuefatti da una struttura di quest che ricorda molto quella del quinto capitolo di The Elder Scrolls, con la suddivisione in principali, secondarie, coalizioni (gilde) e favori per i cittadini, e che ci porta sin dai primi istanti a girovagare per l'immenso mondo di gioco.
E il territorio, come in ogni GdR che si rispetti, farà la sua parte, presentandosi suddiviso in cinque macro-regioni, caratterizzate da elementi architettonici e naturalistici unici, che faranno la gioia di ogni estimatore d'ambientazioni open-world. Fiumi, foreste, strade, laghi, monti e grotte caratterizzeranno un mondo dalle tonalità prettamente fantasy, che ricorda molto da vicino il carattere stilistico e cromatico di World of Warcraft, allontanandosi dunque dalle velleità medievaleggianti di Skyrim.

Riguardo al gameplay dobbiamo anzitutto dire che Kingdoms of Amalur riprende sostanzialmente la struttura ruolistica osservata in Skyrim (e radicata nel genere già da molti anni), edulcorandola e rendendola appetibile ad ogni palato. 
Si parte dall’esplorazione “pura” (il girovagare), che, pur inserita in un’ampia mappa geografica, risulta vincolata da una viabilità prestabilita (simile, per certi versi, a quanto proposto nel recente Dungeon Siege 3), con spazi di manovra delimitati ai dintorni e sconfinanti -al massimo- in qualche galeotta nuotata nel laghetto di turno. Una progressione, dunque, piuttosto inquadrata, capace sì di non farci perdere troppo spesso il filo della narrazione ma anche di scontentare più di qualche aficionado del role playing, esaltato dagli spazi aperti e dalla libertà totale. In questo disegno “semplificato” s’inserisce anche un sistema diaiuti grafici che assiste costantemente il giocatore nella sua “caccia al tesoro”. Ogni baule, ogni oggetto, ogni pianta dalla quale estrarre reagenti alchemici, il loot dai cadaveri e, in generale, qualsiasi elementi interattivo in game, verrà evidenziato da un comodo alone luminoso che, anche a distanza di metri, non ci permetterà di mancare un’item. Ad essere segnalati, in questo caso sulla mini-mappa che ci accompagnerà costantemente, addirittura i nemici, gli altari delle divinità (in grado di conferire benedizioni temporanee) ed ogni quest giver presente in città e villagi in cui ci addentreremo nel corso dell’avventura; senza dimenticare, ovviamente, gli obiettivi delle missioni primarie e secondarie. Queste dinamiche vanno chiaramente a banalizzare la concezione RPG così pienamente solida nell'ultimo Elder Scrolls, eliminando totalmente la fase di ricerca delle informazioni e limitando gli incarichi (per quanto molto spesso ben strutturati) ad un vagare da punto a punto eliminando i nemici presenti. Ed aggiungiamo la facoltà di correre senza mai stancarsi, di poter portare con se sin dal principio fino a settanta oggetti (armi comprese) e la mancata integrazione nell’attività umana del ciclio giorno-notte, presente solamente in termini scenici.
A mettere un pizzico di pepe in tale frangente ci pensano le attività secondarie (alchimia, forgiatura e incantamento) assieme alle sfide offerte, di tanto in tanto, dalla presenza di bauli da scassinare ed urne da disincantare. Se quest’ultimissimo caso rappresenta una vera e propria novità (veicolata da un mini-game piuttosto comune nel quale azzeccare la tempistica di pressione di un tasto), gli altri sembrano quasi ripresi alla lettera dall’ultima fatica Bethesda. Lo scasso, velleità grafiche a parte, è rimasto immutato, mentre alchima e forgiatura vedono qualche lieve differenza, in particolare nella quantità di componenti per la creazione di nuovo equipaggiamento. Serviranno, infatti, piuttosto che i materiali grezzi, le parti fisiche di un oggetto: nel caso di una spada, ad esempio, l’elsa, l’impugnatura, la lama e via discorrendo. Diverso, per certi aspetti, anche l’Incantamento, limitato ad armi ed armature con uno slot apposito per inserire le gemme, ottenibili mediante la fusione di particolari cristalli reperibili in natura.
Kingdoms of Amalur, a differenza di Skyrim (al quale, per forza di cose, verrà costantemente paragonato) presenta, non dovendo scendere a patti con uno stile sommariamente “realistico”, una dotazione bellica decisamente più ampia, che comprende bastoni, spade, martelli, spadoni e pugnali ma anche lame circolari (chakram) ed altri fantasiosi oggetti, utili a veicolare unsistema di combattimento molto vario. Ed è in particolare in questo senso che la creatura 38 Studios brilla, mettendo alla luce le caratteristiche di un cobat system interamente votato all’accessibilità. Grazie alla possibilità di variare attacchi melee, parate e schivate, attacchi a lungo raggio e magie con la semplice pressione di pochi tasti (o con l’aggiunta dei grilletti come modificatori per difesa ed incantesimi), il battle system di Kingdoms of Amalur risulta davvero dinamico ed entusiasmante (per quanto ben poco strategico). Alle moltissime combinazioni di attacchi base e speciali, ottenuti tramite variazioni nelle tempistiche di pressione e quant’altro, s’aggiungerà poi il Destino Finale, una spettacolare Finisher da utilizzare nelle situazioni più pericolose per eliminare con facilità gli avversari e raddoppiare l’esperienza. Riempiendo una speciale barra otterremo la facoltà di sprigionare i nostri “nuovi” poteri, assorbendo il destino dei nemici in un pirotecnico e violento Quick Time Event.
Il guadagno in EXP verrà accumulato nella più classica delle barre, sorpassato il limite della quale potremo salire di livello. L’aspetto della crescita -come molti altri- è stato semplificato, dividendo il tutto in due schermate. Nella prima sceglieremo quale talento, tra Alchimia, Forgiatura, Persuasione e molti altri, sviluppare; nella seconda saremo chiamati a distribuire tre punti abilità nelle tre componenti di base del nostro beniamino: Forza, Magia e Destrezza. La vera novità, nonché l’aspetto clou di Kingdoms of Amalur, saranno, in seguito, le Carte del Fato che sbloccheremo a seconda della distribuzione di cui sopra. In rappresentanza delle “classi” (se così le possiamo chiamare), tali carte ci daranno la facoltà di creare numerosissimi ibridi molto interessanti; selezionati i quali ci vedremo attribuire -di volta in volta- diversi bonus di classe. Queste ampie possibilità di personalizzazione vanno dunque a contrastare il generale appiattimento della struttura ruolistica e ad aumentare esponenzialmente la rigiocabilità. Poche saranno infine, proprio per questo motivo, la chance di creare due personaggi identici, e molti -di conseguenza- i termini di confronto tra due giocatori.
Tirando le somme quello di Kingdoms of Amalur è certamente un impianto di gioco funzionale, incentrato su un sistema di combattimento che riesce a rapire per dinamismo ed eccentricità, ma che configura quella di 38 Studios più come una produzione action supportata da fondamenta ruolistiche di troppo antica concezione, troppo conservative per non sembrare un po' troppo stantie.

Graficamente Kingdoms of Amalur: Reckoning mostra un buon lavoro di recupero dal punto di vista artistico, atto a caratterizzare il mondo di gioco secondo la concezione degli art designer coinvolti. Visuali mozzafiato e fantastici panorami sottendono ad una modellazione poligonale di buon livello, caratterizzata da uno stile più vicino alla caricatura che alla pedissequa ricerca del realismo, ricordando ancora molto spesso (per non dire quasi sempre) gli stilemi di World of Warcraft. Le visuali risplendono grazie ad un ciclo giorno notte che mette in luce soprattutto la vivace palette di colori, adattissima ad una produzione spiccatamente fantasy come questa, dove qualche texture non perfetta si perdona volentieri, alla luce di atmosfere sognanti e scorci indimenticabili. Considerando i nomi coinvolti nel progetto (Todd McFarlane su tutti), tuttavia, non possiamo non ammettere di essere rimasti per certi versi delusi dalla mancata spinta sull’acceleratore, soprattutto nella fase creativa. I tratti distintivi delle opere McFarlane ci sono, ma, come detto, ogni scorcio ricorda sin troppo da vicino la creatura Blizzard, mancando dunque di un’identità propria che avrebbe certamente giovato. Scelte del genere, a nostro modo d’intendere, non vanno per nulla lodate, dato che denotano una mancanza d’intraprendenza (paura di diventare “troppo di nicchia”?) per quello che, invece, era un prodotto perfetto per rischiare con qualche scelta ben più azzardata.
Ritornando coi piedi per terra dobbiamo comunque lodare il lavoro svolto per animare i modelli, sopratutto durante cut-scene (realizzate con il motore di gioco) e combattimenti. Sono state infatti utilizzate tecniche dimotion capture che hanno permesso, grazie al supporto di controfigure reali, di rendere al meglio ogni movimento.
Non da meno il comparto audio, che recuperà dal "Signore degli Anelli" l'epicità della soundtrack, affiancandovi un doppiaggio inglese di alto livello.


Storia: 8,0
Grafica: 8,5
Gameplay: 8,3
Presentazione: 7,5

VOTO GLOBALE: 8,2

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