Fa un certo effetto scrivere di un’epidemia durante un’epidemia. Grazie al cielo la realtà non corrisponde - almeno per il momento, tocchiamo ferro - al bagno di sangue messo in scena nel 1999 dai visionari di Capcom in Resident Evil 3. Allora si trattava soprattutto di tenere viva la fiammella del mito: il capostipite della saga e il seguito di due anni dopo avevano semplicemente scritto la storia dei videogiochi, gettando le fondamenta di un genere, il survival horror, divenuto improvvisamente popolare ai quattro angoli del globo.
Il terzo capitolo aveva introdotto bivi narrativi, qualche meccanica d’azione e, soprattutto, Nemesis, uno dei nemici più iconici dell’intera saga. Eppure all’epoca il titolo era sembrato, se non un mezzo passo falso, un compitino svolto con svizzera precisione, ma senz’anima. Ebbene, questo Remake non si limita a fare un massiccio lifting all’originale, ma ne espande la formula oltre ogni limite, proponendo un’avventura in terza persona di fatto completamente nuova, che brilla di luce propria. Il risultato è un horror cruento, spietato, dall’atmosfera terrificante, splendido da vedere e da giocare.
Tutto ha inizio il 28 settembre 1998, ossia ventiquattr’ore prima dei fatti di Resident Evil 2. Jill Valentine è uno dei pochi agenti della S.T.A.R.S. - la sezione d’elite della polizia di Raccoon City - ad essere usciti vivi da Villa Spencer, teatro degli eventi del primo episodio. Due mesi prima un virus, in grado di trasformare gli esseri viventi in aberrazioni, era fuoriuscito dalla magione di proprietà della Umbrella, una multinazionale farmaceutica. Jill, ora sospesa dal servizio, si sveglia nel letto del suo appartamento intontita da un brutto incubo.
Fuori dalla finestra pare di essere a Baghdad: le strade di Raccoon City sono state messe a ferro e fuoco, l’infezione si è propagata alla velocità della luce. Regna l’anarchia: chi ancora non è stato contagiato, cerca di salvarsi con ogni mezzo. Nemmeno il tempo di rispondere a una certa telefonata, che irrompe Nemesis, un colosso di due metri in impermeabile nero progettato nei laboratori della Umbrella con il solo scopo di spedire al Creatore la protagonista e ogni membro superstite della S.T.A.R.S..
Il bestione probabilmente avrebbe portato a termine l’incombenza già dopo pochi minuti di gioco, se non fosse per l’intervento di Carlos Oliveira, arruolato dalla multinazionale per contrastare le minacce biologiche. Dover riconoscenza a uno che lavora per il nemico ha un che di surreale. Con alcuni compagni di reparto Carlos ha improvvisato un rifugio nella metropolitana dove scortare i sopravvissuti. Non c’è tempo: bisogna riallacciare la corrente, fare ripartire il treno e scappare dall’inferno. Comincia così la grande fuga.
I più attempati lo avranno notato subito: l’incipit di questo Remake non è esattamente identico all’originale. Ma il discorso potrebbe essere esteso a numerosi altri passaggi della trama che - nonostante la linearità, i bivi sono stati tagliati - riserva, specie nelle battute conclusive, più sorprese di quanto sarebbe lecito attendersi. Senza svelarvi nulla, possiamo anticipare che i giocatori di vecchia data troveranno interessanti variazioni sul tema rispetto al 1999: basti pensare allo spezzone nella centrale di polizia o nell’ospedale, ai continui scontri con Nemesis, alla sorte di Brad Vickers (uno dei colleghi di Jill), o al maggior peso che Carlos riveste nell’economia degli eventi.
Più in generale è apprezzabile il lavoro di scrittura: le storie di tutti i personaggi, a cominciare dalla protagonista, risultano finalmente approfondite, col risultato che le figure assumono tratti più umani. Ciononostante, lo studio delle personalità presenta ampi margini di miglioramento, Jill e soci tendono tuttora al monolitico, alle volte paiono di marmo, come se l’orrore cui assistono in definitiva gli scivolasse addosso. Specie nei dialoghi insomma, manca quella rappresentazione dello smarrimento, del dolore, dell’introspezione, offerta dai migliori esponenti del genere, a cominciare, neanche a dirlo, da The Last of Us.
I cambiamenti più drastici riguardano però Raccoon City: buona parte delle ambientazioni conserva la direzione artistica di vent’anni fa, ma non la conformazione. Il design di alcune aree - in particolare, le strade della città e l’ospedale - rasenta l’eccellenza e segna l’apice per l’intera saga: la planimetria delle mappe è stata ampliata a dismisura e, in paragone al Remake del secondo capitolo di un anno fa, ogni sezione ha un maggior respiro, anche se non mancano gli spazi claustrofobici.
Sono inoltre presenti zone completamente inedite e altre opzionali, a tutto vantaggio dell’esplorazione, che mai come in questo episodio riveste un peso preponderante nell’esperienza di gioco. Rischiare la vita aprendo anche quella porta nonostante si prosegua in direzione diametralmente opposta, scassinare la serratura di un armadietto pregando di trovare ricompense utili, così come setacciare market o parafarmacie abbandonati, sono digressioni che non vanno liquidate quali espedienti per allungare il brodo, bensì come attività che aumentano notevolmente le chances di portare a casa la pelle.
Perché se è vero che munizioni e oggetti curativi sono in numero maggiore rispetto a Resident Evil 2 Remake, è altrettanto innegabile che lo siano anche i nemici, peraltro mai così aggressivi, coriacei e letali. Menzione d’onore spetta a Nemesis: non date retta al marketing degli ultimi mesi, non è vero che vi seguirà in capo al mondo. Ve lo ritroverete tra i piedi in sezioni ben definite, concentrate soprattutto nelle prime ore. E qui saranno dolori, perché il bestione è più forte, veloce e furbo di voi. Non pensate di sbarazzarvene rovesciandogli addosso l’intero arsenale, il massimo a cui potrete ambire è rallentarlo, ad esempio, sparando a un barile di carburante o a un generatore di corrente.
La buona notizia viene dalle meccaniche di gioco: è ora possibile non solo divincolarsi rapidamente dalla morsa del nemico, ma soprattutto, premendo in tempo un tasto dorsale, schivarlo con un colpo di reni oppure con una capriola. Impersonando Carlos poi alla mala parata potremo ricorrere a spallate e pugni. Su questo aspetto non bisogna però fraintendere: nonostante tali innovazioni aumentino sensibilmente il grado di azione, Resident Evil 3 Remake resta un survival horror vecchia scuola. Le risorse vanno dosate, spesso conviene tornare sui propri passi per sistemare l’inventario o recuperare potenziamenti, stendere qualsiasi cosa cammini è demenziale oltre che impensabile, e in numerosi frangenti la fuga costituisce l’opzione più sensata.
Dal punto di vista tecnico la produzione merita un riverente inchino: visivamente parlando siamo al cospetto di uno dei picchi di questa generazione di console. Nonostante il titolo sia retto dallo stesso motore grafico del predecessore dello scorso anno, i miglioramenti saltano subito agli occhi e riguardano, anzitutto, il sistema di illuminazione, che fa vibrare l’immagine, esaltando superfici e dettagli, quali il sudore, la sporcizia sulla pelle, le ombre proiettate da protagonisti e aberrazioni. La ricerca del particolare a tratti è stupefacente: in questo Remake non esiste ambiente povero di dettagli.
Le strade di Raccoon City traboccano di vetri infranti, automobili in fiamme, scatoloni a pezzi, lamiere attorcigliate, casse sfasciate, estintori scarichi, cartacce gettate a terra, transenne divelte, immondizia sparsa ovunque, cartelli piegati. Volendo essere pedanti si potrebbe obiettare che qualche superficie appare un po’ grossolana o che l'accuratezza dei modelli poligonali di comprimari e nemici non raggiunge quella dei protagonisti. Amen.
L’azione resta sempre talmente fluida e appagante che con ogni probabilità di magagne del genere nemmeno ve ne accorgerete. Ben più difficili da digerire sono semmai altre lacune, come il bassissimo numero di enigmi, il pressoché inesistente livello di interazione ambientale e, soprattutto, l’esigua durata della campagna. Ve la caverete, a star larghi, in 10-12 ore.
Consapevoli di tale problema, gli sviluppatori hanno allora inserito la modalità Resistance, strambo miscuglio tra horror e gioco di ruolo. Si tratta sessioni online per cinque giocatori, dove a uno viene chiesto di piazzare creature e trappole assortite (estratte casualmente da un mazzo di carte) nella mappa, allo scopo di sopprimere gli altri quattro. Questi ultimi, oltre a cooperare per sopravvivere, devono eseguire alcuni incarichi - come recuperare oggetti, sbloccare serrature, distruggere generatori - prima che scada il tempo. Ogni attacco provoca punti danno e ciascun personaggio ha diverse abilità. Al termine della partita si ottengono crediti per acquistare armi, potenziamenti e oggetti.
Controllando il carnefice il gioco è indubbiamente più originale e richiede una certa dose di strategia, anche se è possibile scendere in campo muovendo una creatura contro gli altri sventurati. Impersonando questi ultimi invece, l’esperienza di Resistance rispecchia maggiormente l’azione e la filosofia della campagna, peccato però che la corsa e il sistema di puntamento si rivelino piuttosto rigidi e legnosi. Senza contare che gli ambienti risultano più anonimi e meno particolareggiati rispetto all’avventura principale. Per carità, non è detto che la situazione non migliori con futuri aggiornamenti, ma per il momento riteniamo Resistance un passatempo e nulla di più.
In conclusione, nonostante qualche difetto, riteniamo che il valore del lavoro di Capcom meriti gli applausi. L’ultima incarnazione di Resident Evil 3 - al pari del titolo “gemello” dello scorso anno - va considerata come una sorta di manuale per il remake perfetto. Perdere un gioco così per gli amanti del genere sarebbe una vera pazzia.
VOTO 9,0
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