giovedì 12 aprile 2018

GOD OF WAR! LA RECENSIONE: LA FURIA DI KRATOS ESPLODE SU PS4


A otto anni di distanza da God of War III, Kratos è pronto a fare il suo ritorno su PS4 con una nuova avventura. E questa volta lo spartano non è solo...




Il tempo della rabbia è finito. Si sono spenti i giorni dell'ira, soffocati dalla coltre di neve del freddo nord, e il sangue delle divinità elleniche è ormai lavato nelle acque glaciali di quel luogo che in molti chiamano Midgard. Sono lontane le battaglie titaniche contro gli Dei capricciosi dell'Olimpo, gli scontri furiosi con chimere e minotauri, le grida vorticanti delle lame. Dalla disfatta di Zeus e dal crollo del suo pantheon sono trascorsi molti anni; anni docili e piani, fatti di una vita regolare, di nuovi affetti familiari e di una paternità faticosa, forse non desiderata.
Di questa nebulosa stagione della vita di Kratos quasi non si fa menzione, nel racconto poderoso del nuovo God of War: perché è giusto che il passato resti dov'è, immutabile e remoto. Il grande balzo temporale che ci consegna un eroe invecchiato, taciturno e barbuto è un brillante espediente con cui Santa Monica dichiara fin da subito la distanza che separa questo capitolo dai precedenti titoli della saga. Kratos porta ancora le cicatrici delle sue antiche avventure, in lui ribolle la stessa fierezza ereditata dall'educazione di Sparta, ma il dio della guerra ha deciso di cambiare. Di crescere, di trasformarsi.
Alla stessa maniera della serie di cui è protagonista, che ci propone un episodio diverso ma non irriconoscibile, grandioso come un tempo ma deciso ad evolversi. Si è detto spesso che questo God of War costituisce un nuovo inizio, l'incipit di percorso alternativo a quello tracciato durante le scorse generazioni. In verità l'ultimo God of War è molto più di questo: rappresenta infatti la volontà di rifondare il canone dell'action, di allargarne i confini abbracciando un incedere più avventuroso, senza tuttavia sacrificare le sensazioni dirompenti di un combat system incredibilmente fisico e feroce.
Facendosi racconto di viaggio e di formazione, scacciando la banalità narrativa dei primi capitoli e trattando tematiche più profonde e appassionanti, God of War rapisce il giocatore e lo conduce per mano in un mondo meraviglioso. Impressionante come il lavoro di codifica della mitologia norrena operato dal team di sviluppo, monumentale come la quantità di contenuti che propone, sorprendete dall'inizio alla fine, God of War è un titolo indimenticabile e a tratti persino sconvolgente, capace di scacciare ogni dubbio e convincere anche i più scettici conservatori.
Il viaggio di Kratos

God of War mette i brividi fin dai primi momenti di gioco, quando una regia meticolosa e attenta sovrasta l'utente con un lungo piano sequenza fatto di luci e ombre, di preghiere sussurrate e note toccanti, raccontando con una dolcezza desolante un dimesso rito funebre. La madre di Atreus, compagna di Kratos in questa sua seconda vita, si è spenta per sempre. Nella testa dello spartano e in quella di suo figlio riecheggia ancora la sua ultima richiesta: spargere le sue ceneri sul picco più alto di tutti i nove regni.



Comincia così il viaggio di questo God of War: un percorso di crescita e di superamento del lutto, che costringe i due protagonisti a incontrarsi, parlarsi, conoscersi più di quanto non abbiano fatto fino a quel momento. Non dev'essere stato un buon padre, Kratos, e forse è arrivato il tempo di rimediare.
Appena calcati i territori di caccia che circondano la capanna di famiglia, tuttavia, cominciano a farsi avanti le prime minacce, in una foresta che sembra in qualche modo cambiata, pervertita da chissà quale maleficio. Di fronte ai Draugr ululanti, Kratos non può far altro che estrarre la sua nuova arma d'elezione, un'ascia grezza e pesante pervasa dal potere del ghiaccio. Ed ecco che subito si inizia a fare la conoscenza del nuovo sistema di combattimento, cardine attorno a cui si costruisce l'intera avventura di God of War. Abbandonate le inquadrature fisse dei primi capitoli, la telecamera si posiziona alle spalle del protagonista, vicinissima al corpo imponente dello spartano. È una prospettiva più intima, viscerale, che sulle prime può sembrare quasi soffocante.
Bisogna farci l'abitudine, capire che adesso non è possibile avere una visione d'insieme del campo di battaglia, e imparare a gestire la posizione. Dare un'occhiata alle icone che indicano la presenza di un nemico alle spalle, usare la schivata per allontanarsi dalle minacce, agire spesso e volentieri sull'angolazione della telecamera per tenere sotto controllo la situazione.
Serve un po' di pratica anche per interiorizzare le possibilità di questo nuovo sistema, ancora basato sull'alternanza di attacchi pesanti e leggeri, ma sicuramente molto più stratificato che in passato. Il Leviatano (questo il nome della possente scure di Kratos) può ad esempio essere lanciato contro i nemici, per bloccarli in un sottile guscio di ghiaccio, e nel frattempo possiamo proseguire il combattimento a mani nude. I pugni secchi e diretti del protagonista fanno male, ma più che altro tendono a stordire gli avversari, che una volta intontiti possono essere uccisi con ferocia inaudita, avviando delle piccole sequenze di morte che prendono il posto dei Quick Time Event, abbondantemente ridotti in questo capitolo.
È possibile che inizialmente il combat system di God of War sembri distante anni luce da quello classico della saga, e che la presenza di una barra della vita sopra ad ogni avversario lasci interdetti i più tradizionalisti.


Le novità dell'interfaccia risultano invece funzionali a tenere sott'occhio la situazione, imbastire la propria tattica, decidere se sia meglio sfruttare i fendenti dell'ascia o i colpi a mani nude.
O ancora le frecce di Atreus, giacché dopo qualche ora di gioco sarà possibile chiedere al giovane compagno di bersagliare gli avversari per incrementare la barra dello stordimento.
L'aspetto più entusiasmante del sistema di combattimento, tuttavia, è la sua capacità di evolvere nel tempo. Proseguendo nell'avventura sarà possibile potenziare l'efficacia del Leviatano, e parallelamente apprendere, investendo i punti esperienza accumulati, nuove tipologie di attacchi. Poco a poco le battaglie si fanno più varie, più complesse ed appaganti, più violente. Prima arrivano i colpi vorticosi dell'ascia, che ruota a mezz'aria come facevano le Lame del Caos, trattenendo gli avversari sollevati da un fendente verticale. Ben presto i corpi dei nemici cominciano poi a rimbalzare sul terreno, ad essere tranciati di netto da un assalto caricato, ad essere travolti da attacchi ad area. Il balletto di morte di Kratos si esprime attraverso pressioni ripetute e intermittenti, arrivando addirittura a richiedere un particolare tempismo nell'esecuzione dei colpi, come storicamente succedeva nel "rivale" Devil May Cry.



Con l'emergere di nuovi nemici e inediti attacchi runici, ovvero dei colpi speciali che qui sostituiscono il vecchio sistema di magie, le battaglie divengono non solo più spettacolari, ma anche più tecniche e stratificate.
Sarebbe delittuoso svelare le sorprese che God of War ha in serbo per il giocatore, e basti quindi sapere che la varietà di combinazioni e strategie d'ingaggio supera ogni più rosea aspettativa, e che il gioco non si fa scrupolo a gettare nuovi elementi nel calderone del suo mastodontico combat system. Alla fine dell'avventura ricorderemo le urla di dolore di strane bestie mannare scuoiate con un colpo di scure, e i lamenti delle redivive trafitte dalle frecce di Atreus, e ancora i fendenti sordi sul corpo dei Troll, e l'ascia che si infrange sul cranio di un elfo mortifero. Dentro questo God of War c'è ancora - proprio come nei passati episodi - un ritmo furioso, una brutalità legittima ed esibita, una rabbia crescente e la passione per i massacri faticosi ed eccezionali: ma c'è anche una varietà incredibile, senza precedenti, e la voglia di abbandonare una volta per tutte lo spettro del button mashing. Desiderare di tornare al vecchio sistema sembra davvero impossibile, e questo vale anche per la struttura dell'avventura.
Tra tradizione e innovazione

Sulle prime God of War sembra un titolo dall'incedere tutto sommato tradizionale. La strada da seguire è una, ben visibile e chiaramente indicata, che punta dritta al prossimo obiettivo. Gli ambienti di gioco sono più aperti del solito, pieni di aree secondarie in cui recuperare qualche risorsa (utile a potenziare l'equipaggiamento in un sistema di sviluppo di cui parleremo in seguito) o scoprire qualche dettaglio in più sull'ambientazione. Fra una battaglia e l'altra si fa strada un po' di esplorazione, qualche enigma ambientale, per una progressione ben diversificata e piacevole.
E poi, d'un tratto, accade l'impensabile. Sulle rive dell'imponente Lago dei Nove si infrangono tutte le certezze del giocatore: God of War cambia volto, si trasforma, dichiara la sua volontà di trasformarsi in un immenso gioco d'avventura.
Potete pensare al Lago dei Nove come ad una vasta area centrale in cui è possibile muoversi liberamente, navigando su una piccola imbarcazione. Ai margini del lago svettano i portali che rappresentano i nove regni, al centro sorge il tempio di Tyr, antica divinità della guerra che avrà un ruolo fondamentale nel racconto. E poi, sulle rive del placido specchio d'acqua, ci sono decine di punti d'approdo, e ciascuno conduce in una zona da esplorare.
Attenti però a dire che God of War si è piegato alle logiche dell'open world, perché non è affatto così: quello stralcio di Midgard in cui si muovono Kratos e il figlio Atreus è vasto ma molto coeso, uno spazio aperto ma non dispersivo.


Il canone a cui il titolo di Santa Monica vuole rifarsi è insomma quello dei grandi action adventure che sempre più raramente si affacciano sul mercato: la scuola che da Soul Reaver giunge direttamente ai primi due Darksiders. Se in God of War cercate un action lineare come i capitoli della prima trilogia, un'avventura che procede spedita e senza digressioni fino alla fine, mettetevi nell'ordine di idee che le cose sono cambiate: che adesso l'esplorazione ha un peso maggiore nell'economia di gioco, che la dimensione avventurosa e la curiosità sono importanti. Come dicevamo poco sopra il titolo non rinuncia ad un combat system energico ed esaltante, ma neppure si limita in quanto a struttura.
Attraccando sulle insenature del Lago dei Nove, del resto, si scoprono zone traboccanti di attività, e tutte costruite con una maniacale attenzione per il level design. Cimiteri di navi da esplorare con attenzione, battaglie contro naufraghi redivivi, enigmi intricati che mettono alla prova riflessi, acume e spirito di osservazione. Le quest opzionali costituiscono, senza mezzi termini, una serie di contenuti preziosissimi, che accompagnano, affiancano e completano l'esperienza principale.
Idealmente è possibile seguire gli incarichi principali e mettere da parte l'esplorazione, chiudendo la nuova avventura di Kratos in una ventina abbondante di ore. Ma sarebbe davvero un peccato perdersi tutto quello che Midgard ha da offrire, e lasciarsi scappare l'occasione di raddoppiare il tempo di gioco. La stima di quaranta ore per esplorare ogni anfratto del mondo di God of War non solo è credibile, ma se si considerano le attività endgame risulta persino trattenuta.La Fiamma e la NebbiaDopo aver recuperato i dischi runici che permettono di accordare il Bifrost, l'oggetto con cui è possibile compiere un viaggio fra i regni, potremo raggiungere il Muspellsheimr e il Neflheimr. Il primo, un reame invaso dal fuoco e dal magma gorgogliante, troveremo una serie di sfide di abilità dalla difficoltà crescente. Si tratta di arene dallo spirito squisitamente "arcade", dove mettere alla prova la grande malleabilità del sistema di combattimento.
Le nebulose lande del Niflheimr, invece, possono essere considerate in qualche maniera l'equivalente dei Calici di Bloodborne. In questo labirinto con alcuni elementi procedurali, pieno di trappole e nemici, bisogna infatti recuperare Echi Nebbiosi per sviluppare progressivamente armi e armature uniche, tornando indenni all'uscita prima che un miasma venefico ci tolga il respiro. Non c'è il classico meccanismo di recupero degli Echi dopo la morte, ma la filosofia alla base è simile a quella dei dungeon di Bloodborne, e per scoprire tutti i segreti di questo regno serviranno diverse ore di gioco, da affrontare con piacere una volta terminato il viaggio di Kratos.
Persino su questo fronte, del resto, il capolavoro di Santa Monica gioca al rialzo, quando ad esempio rivela al giocatore la possibilità di transitare tra i vari regni della cosmologia norrena. Dalle terre di Midgard passeremo quindi a quelle Alfheimr, e ottenendo le rune necessarie a compiere il viaggio potremo finire anche nel Muspellsheimr, il reame della fiamma, e tra le nebbie del Niflheimr, in quelle che rappresentano due aree completamente opzionali e traboccanti di attività da portare avanti anche dopo la fine dell'avventura.
Un altro degli elementi che lascia davvero stupefatti, direttamente correlato alla smisurata quantità di contenuti, è il rapporto di questo God of War con la mitologia norrena. Sulle prime si potrebbe pensare che il gioco voglia concentrarsi soltanto sugli aspetti meno conosciuti del folklore scandinavo, mettendoci di fronte le creature leggendarie come draghi e troll e lasciando in secondo piano il pantheon asgardiano. In verità l'obiettivo di Santa Monica è quello di creare una versione digitale ed interattiva di tutta la cosmogonia nordica. La possibilità di visitare buona parte dei nove mondi utilizzando il Bifrost, i racconti del saggio Mimir, che durante il viaggio narra le leggende dei Jotunn (i giganti) e le storie del regno, e poi ancora gli incontri con le figure che popolano l'Edda norrena: God of War è davvero un'opera enciclopedica, che si rapporta con il mito in una maniera molto più completa (e complessa) di quanto non abbiano mai fatto gli episodi precedenti.
Non solo: di quel gran calderone di leggende che arrivano dalle fredde terre del nord, God of War prova anche a dare una propria interpretazione. Quando ci mette di fronte alla guerra eterna fra elfi chiari ed elfi scuri, ad esempio, il gioco si diverte ad inventare un suo immaginario inedito, dipingendo gli elfi della luce come tenui ed evanescenti creature, e quelli scuri come esseri dalle fattezze di insetti che si riproducono in traboccanti alveari.
Il (magistrale) lavoro di reinterpretazione non è solo stilistico: God of War vuole anche tirare le fila delle intricate vicende che intrecciano le corti degli dèi Aesir e Vanir, e compie dei brillanti ragionamenti su alcune delle figure più controverse, liminali e importanti della mitologia nordica. Per gli appassionati in materia si tratterà di una visione fresca e interessante, mentre chi non conosce bene l'argomento potrà scoprirlo attraverso l'impegno monumentale del team di sviluppo.
La furia di Kratos

A fare da collante in un'avventura così ricca e molteplice troviamo due elementi importantissimi nell'economia di gioco. Da una parte un sistema di progressione insospettabilmente elaborato, dall'altra una narrazione fluida e malleabile, che sa adattarsi perfettamente ai ritmi dell'utente.
Durante il suo viaggio, dicevamo, Kratos recupera risorse e materiali preziosi, che possono essere impiegati nelle forge naniche per creare e sviluppare nuovi pezzi di equipaggiamento. I fabbri che concedono i propri servizi allo spartano sono due personaggi molto sopra le righe, capaci di portare un tocco di leggerezza nel mondo altrimenti spietato di God of War: ben presto capiremo che anche la loro caratterizzazione, così come quella di tutti i comprimari, contribuirà a rendere epico e trascinante l'insieme narrativo del titolo Santa Monica.


Al netto delle personalità esuberanti di Brok e Sindri, il loro lavoro si concretizzerà nella possibilità di sviluppare non solo le armi di Kratos, ma anche i pezzi della sua armatura. Indossando bracciali e corazze non cambierà solamente l'aspetto dello spartano, ma anche un insieme di statistiche che sembra arrivare direttamente da un gioco di ruolo. Poco a poco questa progressione ruolistica comincia a reclamare una sua priorità nell'avventura. Ogni armatura ha un suo livello di rarità ed un certo numero di castoni, in cui applicare pietre runiche dalle funzioni più disparate. Si scopre insomma che è possibile influenzare l'efficacia di certi colpi, il sistema di accumulo della rabbia (necessaria per attivare l'immancabile Furia di Sparta), o quello di recupero della salute. Possiamo decidere di puntare tutto sui lanci precisi del leviatano, oppure potenziare gli attacchi a mani nude, adattando il sistema di combattimento alle nostre necessità. Cresce anche Atreus e diventano importanti le sue frecce, intrise del potere della luce o di quello del lampo: in un percorso di riscoperta del valore di un compagno, Kratos lascerà che il figlio lo aiuti nell'impresa, scagliandosi contro gli avversari storditi o quelli proiettati a terra dalla furia della lama.
La crescita dei personaggi e lo sviluppo dell'equipaggiamento diventano ben presto fondamentali per il giocatore, che in maniera molto naturale viene spinto a scandagliare ogni anfratto del Lago dei Nove, ogni piccolo fiordo pronto a nascondere forzieri e tesori, ogni caverna traboccante di nemici e segreti.



La grande capacità di God of War non è solamente quella di aver costruito un mondo meravigliosamente intagliato, coerente, bellissimo, ma anche di aver trovato uno stimolo affinché l'utente impari a conoscerlo, senta il desiderio di esplorarlo da cima a fondo.
In quasi tutte le aree opzionali e nascoste di Midgard, per altro, è possibile portare alla luce storie misteriose e miti perduti, andando a comporre un mosaico narrativo poliedrico e sfaccettato. È importante sottolineare, in sostanza, che le qualità della sceneggiatura di God of War vanno ben oltre la dimensione della trama principale: c'è ovviamente una storia forte e riuscita, traboccante di momenti epici, molto più elaborata ed estesa rispetto a quella dei vecchi capitoli. È un racconto di formazione ma anche di accettazione di sé, una vicenda che ragiona sia sulle fatiche e sugli obblighi della paternità, sia sulla capacità di andare avanti. È un racconto che parla dei sacrifici che i genitori sono costretti a compiere per proteggere i propri figli, ma anche una grande e inaspettata opera di teogonia, e l'inizio di una nuova sfida lanciata dallo spartano al pantheon norreno.
Eppure, la forza di questa storia sta nella sua capacità di intrecciarsi con tutte le altre storie che la circondano, di farsi momentaneamente da parte, quando serve, per lasciare spazio agli innumerevoli spunti di una sceneggiatura inesauribile. In questa maniera l'epopea di Kratos si trasformerà nel resoconto di un viaggio, capace di farvi affezionare ai due protagonisti in una maniera persino inaspettata. Il legame che si instaura fra il giocatore e i personaggi è molto particolare, così forte da lasciarvi inermi, di fronte ai (delicatissimi) titoli di coda, sbalorditi da uno strano sorriso.
Se davvero c'è qualche rammarico, giunti alla fine dell'avventura, questo riguarda soprattutto la qualità delle boss fight principali, che restano generalmente meno incisive rispetto a quelle tipiche della saga.


SCONTO TRA TITANIFatta eccezione per il primo e l'ultimo scontro, esempi insuperabili di una sferzante costruzione scenica, battaglie inumane e adrenaliniche, il resto dei combattimenti è più regolare, moderato: forse per il carisma non eccezionale di tutti gli avversari, forse per la scelta di ridurre drasticamente il numero di Quick Time Event e rinunciare così al loro indiscutibile impatto visivo.
Si tratta di un problema tutto sommato marginale, soprattutto per come è strutturato questo episodio, ma la memoria degli scontri con Poseidone, con le idre del mar Egeo, con l'enorme Colosso di Rodi e con il titanico Crono tornerà a infestare i desideri di una parte del pubblico. A parziale risarcimento troviamo però una serie di battaglie opzionali con le incontenibili Valchirie, che nell'ultima parte del viaggio terranno impegnati gli utenti con duelli tesissimi e impegnativi. Forse non sarebbe guastato se un briciolo della difficoltà che caratterizza le attività endgame fosse filtrato anche negli scontri della storia principale, che restano tutto sommato abbordabili, pur non facendosi scrupolo nel condurre il giocatore -di tanto in tanto- verso un efferato e crudo Game Over.


Tecnicamente parlando

Da sempre il team Santa Monica è considerato uno dei più abili a sfruttare l'hardware delle console Sony, e God of War ribadisce il talento dei ragazzi capitanati in questa occasione da Cory Barlog. Incredibili furono i risultati ottenuti dalla saga nella passata generazione di console, e altrettanto esplosivo è il colpo d'occhio di questo nuovo capitolo, che alza di un bel po' gli standard qualitativi delle esclusive PS4.
Al netto di alcuni comprensibili stratagemmi, come la reticenza a mostrare campi troppo aperti e la decisione di renderizzare ambienti generalmente contenuti, è impossibile non restare a bocca aperta di fronte ai dettagli poligonali delle ambientazioni, alla minuziosa ricostruzione delle armature di Kratos, e più generalmente alla magniloquenza delle architetture, naturali o meno, che lo Spartano incontra durante il suo viaggio.



Ben diversificati sono i luoghi che incontriamo, tra enormi templi inondati dal potere della luce, sentieri arborei e sommità rocciose: ogni scenario ci appare incredibilmente affascinante grazie soprattutto allo studio sui materiali e sulla caduta della luce, che restano strumenti espressivi utilizzati con grande maestria.
Potente è il lavoro sulle animazioni, che riescono a trasmettere pienamente la fisicità di ogni colpo, la rabbia dei fendenti ed il dolore della carne trafitta e spaccata.
Gli elementi distruttibili degli scenari non sono pochi, i modelli poligonali dei nemici sono incredibilmente elaborati, gli effetti speciali rendono ogni scontro palpitante e grandioso.
L'impatto visivo è meraviglioso sia su PlayStation 4 PRO che sulla versione "liscia" della console Sony, anche se in quest'ultimo caso la pulizia della scena è leggermente sporcata da un po' di aliasing. Abbondantemente comprensibile, vista la mole poligonale e la quantità di dettagli che impreziosisce ogni scorcio, qualche singhiozzo che in certi casi compromette la fluidità dell'azione. Oscillazioni che tendono a sparire completamente su PS4 PRO, restando confinati a pochissime occasioni: stabile e definito, God of War si gioca, sulla versione "potenziata" della console, senza quei piccoli compromessi che altrimenti è necessario accettare.
C'è inoltre da segnalare che su PRO è possibile attivare la modalità Framerate: riducendo la risoluzione ricompare qualche sprazzo di aliasing, ma la fluidità supera quasi costantemente il limite altrimenti imposto di 30 fps. Purtroppo non si raggiungono i 60 quadri al secondo, e il valore oscilla attorno ai 40/50 fps, con un moto altalenante che potrebbe essere indigesto a diversi giocatori. La modalità preferibile resta, anche su PS4 PRO, quella che accorda la priorità alla risoluzione. Eppure, quando il framerate schizza verso l'alto, non si può fare a meno di provare un brivido di piacere.


Solenne ed enfatica anche la colonna sonora, che riesce a mescolare l'incedere battente delle marce belliche con gli accordi più fievoli che meglio si adattano al nuovo contesto. Di tanto in tanto, quando un coro votivo si leva per sottolineare un momento particolarmente intenso o toccante, God of War rivela la bellezza dell'impasto musicale che lo accompagna.
Per quanto persistano i problemi di missaggio che spesso si registrano nei prodotti doppiati in italiano, la qualità delle voci e della recitazione nella versione nostrana è più che convincente: un lavoro di interpretazione efficace e senza scivoloni, perfettamente adeguato alla statura del progetto.

VOTO FINALE 9,5





fonte: everyeye.it

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