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I Migliori Giochi

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martedì 20 agosto 2013

PES 2014: info su demo e DLC pre order, trailer, tutorial e gameplay!

HAPPY GAME si è preso qualche giorno di vacanza nella settimana di ferragosto ma ora è di nuovo in trincea e vi riassume tutte le novità di Pro Evolution Soccer 2014. A fine post potete gustarvi tutti i filmati usciti negli ultimi giorni con i vari tutorial delle varie posizioni del campo, tutti in italiano. C'è anche un video dedicato alla componente "heart" e due filmati esclusivi di IGN. 

Ci sono inoltre alcune altre novità:
- Confermata la presenza del Campionato Cileno insieme a quelli Brasiliani e Argentini in Sudamerica.
- Rimanendo in Sud America, confermate anche  la Copa Sudamericana e la Recopa (le nostre Europa League e Supercoppa Europea)
- Quasi Ufficiale la presenza dell'Europa League come modalità giocabile a parte.
- Licenza confermata per la squadra cipriota dell'Apoel FC
- Saranno 3 le squadre tedesche con licenza completa. Una è sicuramente il Bayern Monaco mentre sicuramente non ci sarà il Borussia Dortmund. Probabili le presenze di Shalke 04 e Bayer Leverkusen. E' stato, inoltre, annunciato ufficialmente  che domani, mercoledi 21 agosto, Konami svelerà un nuovo trailer di PES 2014 ed anche informazioni inedite sul gioco che ci auguriamo riguardino finalmente il demo che a questo punto, salvo cambiamenti dovrebbe arrivare tra il 27 e il 28 agosto.Inoltre, possiamo dirvi che sono in arrivo info su DLC disponibili in esclusiva per chi prenoterà il gioco ma ancora non ci sono ulteriori dettagli.

Prima di lasciarvi ai filmati, vi segnaliamo che, per chi non potesse raggiungerci direttamente in negozio (a Teramo, in via sauro 10), anche  Amazon.it ha inserito nel suo listino il calcio di Konami. Vi lasciamo di seguito ai link per la prenotazione (come al solito zero spese di spedizione e prenotazione al prezzo minimo garantito: ovvero voi ordinate subito e se il prezzo diminuisce prima della messa in vendita, pagherete il prezzo più basso dal momento del vostro ordine. E' conveniente quindi farlo quanto prima!) e la possibile data di uscita: il prossimo 27 Settembre!

The Wonderful 101: Recensione

The Wonderful 101, per molti aspetti, è il gioco che i possessori di un Nintendo Wii U stavano aspettando. Questo titolo, infatti, incarna tutti gli aspetti che un utente di una console Nintendo vorrebbe vedere: originalità, qualità, stile e naturalmente un uso sensato dell’hardware della console. The Wonderful 101, infatti, è il primo gioco per Nintendo Wii U a fare un uso sagace del pad dotato di schermo, e per la prima volta ci mostra i benefici in termini di gameplay di un hardware apparentemente così bizzarro. La cosa più curiosa, è che un titolo così tanto “nintendaro” non è prodotto da Nintendo, ma da Platinum Games, che con la guida del visionario Hideki Kamiya ha confezionato un prodotto davvero interessante. Ma procediamo per gradi.

Non ci sono molte parole da spendere sulla trama del gioco. La storia è piuttosto banale: un’invasione aliena, un’organizzazione di supereroi pronti a fronteggiarla e tante battaglie; insomma, nulla di particolarmente degno di nota. Semmai, è il modo in cui questa storia viene messa in scena a rendere il tutto particolarmente divertente.
La narrazione, infatti, è caratterizzata da un’ironia che si mantiene costante per tutto il tempo. Gli sceneggiatori hanno evitato di cadere nell’errore di impregnare la storia di pomposità, lasciando un velo di ingenuità che si traduce in tantissime battute, in dialoghi che ricalcano lo stile degli anime classici e, naturalmente, in una serie di giapponesate che fano il verso a tutte le serie animate degli anni Ottanta con protagonisti i robottoni. Non ci sono citazioni particolarmente esplicite, ma le animazioni, la musica e le enfatiche sequenze di trasformazione fanno eco ai prodotti delle serie Time Bokan. Se siete cresciuti a pane e Yattaman, vi piacerà.





Il vero protagonista di The Wonderful 101, però, è il gameplay. Il titolo è infatti un crocevia di diversi generi videoludici, reso possibile dal particolarissimo concept, che ci consente di controllare fino a cento personaggi contemporaneamente.
In breve, il giocatore ha la possibilità di muovere il proprio drappello di personaggi come se fossero un’entità a sé stante, il tutto manipolando soltanto il leader del gruppo. Come un branco di pesci che cambia direzione quando il pesce davanti a tutti decide di virare, in The Wonderful 101 il personaggio da noi controllato ha il potere di trascinarsi dietro ogni compagno, rendendo gli spostamenti particolarmente semplici e intuitivi.
In secondo luogo, è possibile attaccare in due modi diversi. Vi è un attacco standard, che consente di assalire l’avversario con i propri personaggi, che spesso si comportano come Pikmin sotto steroidi e si attaccano al nemico, picchiandolo. Il vero potenziale del proprio gruppo, però, si scatena grazie a particolari attacchi - detti morfounioni - che consentono di trasformare i propri eroi (o una parte di essi) in un’arma. Tracciando un simbolo sul campo di battaglia, i personaggi diventano uno strumento bellico potente nelle mani del leader del gruppo. Così, possiamo ritrovarci a impugnare una grossa spada, un pugno gigante, una frusta, un bazooka e così via.
Queste morfounioni sono molto potenti, e consentono di colpire con forza anche gli avversari più coriacei. Per bilanciare il tutto, gli sviluppatori hanno fatto in modo di limitarne l’uso: ogni volta che si crea un’arma si consuma energia, che richiede del tempo per ricaricarsi. Di conseguenza, non è teoricamente possibile abusare delle armi, anche se - a conti fatti - ci si ritrova ad utilizzarle per la quasi totalità del tempo. L’energia, infatti, inizia a scarseggiare quando si usano tutte le azioni secondarie, quali schivate e contrattacchi, fondamentali per sopravvivere ma il cui abuso rovinerebbe senza dubbio l’esperienza di gioco.
A questo si aggiungono tattiche avanzate, che prevedono ad esempio di attaccare il nemico con un’arma mentre se ne crea un’altra, la quale viene controllata dall’intelligenza artificiale per un breve periodo di tempo. Se usate nel modo giusto queste tattiche possono essere devastanti, ma richiedono una buona coordinazione e una visione d’insieme che, spesso, è davvero difficile ottenere.
Il feeling che si prova nelle prime quattro o cinque ore di gioco, infatti, è piuttosto spiacevole. In breve, all’inizio non si crede di avere il controllo totale della situazione. O, se vogliamo, si ha la pessima sensazione di non capirci assolutamente nulla. Occorre dare un po’ di fiducia al gioco prima di provare le prime soddisfazioni, che fortunatamente si rivelano essere piuttosto intense quando si iniziano a padroneggiare le meccaniche di gioco.
Lo stesso Kamiya ha dichiarato che il gioco è pensato per essere rigiocato più volte, e che il primo playthrough si potrebbe qualificare come una sorta di tutorial. Non è proprio così, in quanto dopo qualche ora si inizia davvero a capire come funzionano le cose. Ma preparatevi a pestare a casaccio sui pulsanti per qualche sessione di gioco prima di iniziare a mettere in campo qualche combo sensata.





L’importanza del gamepad
L’aspetto che più sorprende in The Wonderful 101 è l’uso che viene fatto del gamepad. Quando il gioco ci venne presentato le prime volte, credevamo che il pad dotato di schermo touch sarebbe stato utile per creare le armi, e nulla più. Come abbiamo detto, per creare un’arma è necessario tracciare un simbolo, e il touch screen sembrava uno strumento perfetto per farlo.
Non è così. Se, da un lato, è incredibilmente intuitivo poter tracciare il simbolo richiesto sullo schermo, dall’altro è incredibilmente difficile a causa di un’eccessiva pignoleria del sistema che associa il tratto del proprio dito al simbolo richiesto. Il gioco, infatti, richiede una buona precisione, e talvolta quella che a noi sembra una linea “abbastanza dritta” per il gioco è un tratto curvo, e la spada che volevamo creare si trasforma in un frusta o, addirittura, in una pistola.
Non ci sorprende, dunque, che nel tutorial il gioco ci inviti a tracciare i simboli con l’analogico destro, anziché con il dito. Nella nostra personalissima esperienza ci siamo ritrovati a utilizzare lo schermo touch per creare la maggior parte delle armi, affidando all’analogico destro la creazione della spada o, più in generale, tutte quelle operazioni che richiedono di tracciare una linea retta. In generale, un po’ di pratica risolve tanti problemi, ma in definitiva il sistema di controllo è meno intuitivo e più frustrante di quanto ci saremmo aspettati.
Semmai, è l’uso del gamepad in alcune sequenze di gioco ad averci lasciato a bocca aperta. In alcuni momenti, infatti, il gioco porta i nostri personaggi all’interno di edifici. In questi casi, l’azione si svolge esclusivamente sul gamepad (a cui normalmente viene affidata una funzione di radar e di menù), mentre sullo schermo del televisore vediamo l’esterno dell’edificio. Ma non è finita: talvolta le azioni che si compiono all’interno dell’edificio (dunque sul gamepad) hanno ripercussioni all’esterno (dunque sul televisore). Ad esempio, in una particolare sequenza di gioco controllavamo un astronave dal suo interno, ma dovevamo costantemente tenere d’occhio il suo esterno per evitare gli ostacoli e individuare i nemici. Ad un tratto un cattivo ha fatto la sua comparsa all’interno dell’astronave, costringendoci a combattere un nemico, il tutto mentre tentavamo di controllare l’astronave buttando un occhio di tanto in tanto al televisore per evitare di farci colpire dalle altre astronavi. La sensazione è assolutamente inedita, quasi spiazzante e sicuramente piena di emozioni, tanto da lasciarci ricordare la prima volta che mettemmo le mani su The World Ends With You per Nintendo DS e sul suo straordinario combattimento asincrono.
Il titolo è anche giocabile solo sul televisore (o solo sul gamepad), ma così facendo vi perderete alcuni dei momenti migliori di questo gioco.




Se l’autorialità di Hideki Kamiya traspare nel concept (i suoi precedenti lavori, in particolareViewtiful Joe e Okami, sono chiare fonti di ispirazione), la produzione di Platinum Games si lascia vedere nel senso di “esagerazione” che pervade il gioco.
La cosa diviene particolarmente evidente nelle boss fight, che come in Bayonetta e MadWorldsi tingono di toni barocchi e si riempiono di contenuti. Alcuni boss presentano ben più delle tre canoniche fasi di scuola Nintendo, e in alcuni casi lo scontro può durare anche decine di minuti.
Al contempo, la produzione Platinum Games si porta dietro anche parte dei suoi difetti: nel complesso, c’è un eccessivo uso dei QTE con il risultato di un’interattività ridotta all’osso nei momenti più topici degli scontri. Fortunatamente, l’ironia del gioco giunge in soccorso presentando alcune finisher davvero inattese (ad esempio, abbiamo sconfitto un robot gigante facendogli il solletico sotto le ascelle metalliche), ma nel complesso si ha la sensazione che questi momenti estremamente coreografici siano un po’ troppo su binari.
La linearità, in generale, è uno dei problemi principali di The Wonderful 101: fatta eccezione per qualche livello-sfida posto a spezzare il ritmo e qualche segreto ben nascosto, il gioco è di una linearità disarmante. Se non fosse per l’elevatissimo numero di oggetti collezionabili (tra monete, statuette, achievement e, ovviamente, i cento eroi che danno il nome al gioco) l’esperienza potrebbe risultare un po’ noiosa già al secondo giro, mandando a quel paese tutti i buoni propositi di Kamiya sulla rigiocabilità di questo titolo. Per nostra fortuna, grazie a un articolato sistema di punteggio, a un buon sistema di leveling e a tantissime cose da sbloccare e acquistare, è improbabile che non vi venga voglia di rigiocare il tutto almeno una volta.
In ogni caso, The Wonderful 101 è un gioco sufficientemente longevo: la campagna si compone di varie operazioni divise in tre fasi, ognuna con un diverso numero di missioni. Ci sono poi le missioni-sfida e un semplice ma delirante multiplayer cooperativo per cinque giocatori, che tuttavia ricicla parte degli ambienti presenti nella modalità storia.





Uno stile unico. Riguardo alla grafica di The Wonderful 101, lo stile cartoonesco di Kamiya non delude le aspettative. Il character design è eccezionale: quando si zooma sul proprio esercito e si scorgono uomini-semaforo, pasticceri, ginnaste e persino un tizio vestito da supposta si resta incantati da tanta follia e originalità. Il tutto è accompagnato da un comparto tecnico ineccepibile: nonostante sullo schermo accada di tutto (letteralmente - di tutto), il gioco non perde neanche un frame.
I temi musicali svolgono il loro compito di scandire l’azione, sebbene non lascino un attimo di respiro. Ottimo il doppiaggio, disponibile sia in lingua inglese che in lingua giapponese, con i sottotitoli in italiano.


The Wonderful 101, con ogni probabilità, è destinato a diventare un titolo di culto. Non è perfetto, non è immediato e, soprattutto, non è quel gioco che farà fare la svolta a Nintendo Wii U. Ma, al contempo, è un gioco che presenta tante belle idee, talvolta sviluppate in maniera altrettanto buona. Per creare qualcosa di nuovo è necessario osare, e questo gioco osa in continuazione. Siamo felici di trovare un prodotto che, finalmente, sembra lanciarsi nel vuoto e iniziare a sfruttare davvero le potenzialità del gamepad Wii U. Speriamo che The Wonderful 101 rappresenti un punto di partenza per tanti altri giochi dello stesso calibro su questa console, titoli capaci di innovare e di rischiare ma, al contempo, capaci di lasciare il segno nei nostri cuori.

lunedì 19 agosto 2013

Saints Row 4: Recensione!



Quella di Saints Row è una delle saghe più discusse del mondo videoludico, tanto che sia la critica che il pubblico si dividono in due fazioni ben distinte, che supportano o disprezzano ogni iterazione. L'atteggiamento è insomma lo stesso che si registra con le parodie cinematografiche più leggere: c’è chi riesce a divertirsi con l'ennesimo Scary Movie, e chi invece chi lo boccia in tronco, mal sopportando una comicità a volte estrema e “viscerale”, che sbeffeggia in maniera quasi caricaturale i cult dell'industria.
Ma in fondo Saints Row non è diventato proprio questo? Una grande parodia del mondo dei videogiochi, dei generi più in voga, delle sue esagerazioni. Proprio a causa del successo che questa particolare comicità (diremmo “pantagruelica”) riscuote negli Stati Uniti, i ragazzi di Volition ci sono andati giù pesante, specialmente con il terzo capitolo della serie: forse il più sboccato, per nulla morigerato o trattenuto, tanto che certi aspetti del titolo fanno discutere ancora oggi. In particolare tutti gli espliciti riferimenti sessuali, come la corsa sadomaso sui carretti o la possibilità di brandire un enorme giocattolo fallico per picchiare gli ignari passanti, ebbero effetti contrastanti sull'audience.
Nonostante le controversie, è innegabile per lo meno il successo dell'IP, passata dalla fallimentare THQ a Deep Silver, che finalmente si appresta a pubblicare l’atteso quarto capitolo. Il nuovo publisher avrà smorzato in qualche modo gli eccessi del suo diretto predecessore?
Dopo diversi giorni di intense prove, siamo pronti ad esaminare nel dettaglio Saints Row 4. Preparatevi: si torna a Steelport!


Anche in questo capitolo vestiremo i panni del capo dei Third Street Saints, una banda di strada ormai uscita dal ghetto. La scalata sociale dei Saints, a giudicare dall'incipit del titolo, dev'essere andata piuttosto bene, perchè in Saints Row 4 ci si ritrova nientemeno che sulla poltrona del presidente degli Stati Uniti. Eppure, guarda caso, scopriremo che essere a capo della nazione più potente del mondo è un fardello non indifferente: dovremo destreggiarci tra conferenze stampa e importanti (o discutibilissime) questioni su cui legiferare (preferite risolvere la fame del mondo o trovare la cura per il cancro?). D'un tratto, la nostra presidenza sarà minacciata da un’improvvisa invasione aliena, da parte del bellicoso impero Zin. Sin dai primi minuti di gioco, insomma, glieccessi comici tipici della produzione Volition si fanno sentire. Tra Gangaster di strada nel nostro consiglio di gabinetto ed un numero impressionante di riferimenti a saghe culto dei videogiochi e del cinema (immancabile Call of Duty, “tirato dentro” a più riprese), chi ha apprezzato i precedenti capitoli della saga non potrà che rimanere ammaliato da questo sequel.


Ad ogni modo il nostro presidente si ritroverà presto alla mercé degli alieni, costretto a girovagare per una ricostruzione virtuale di Steelport invasa dai malvagi extraterrestri. Il nostro compito sarà quello di battere gli invasori al loro stesso gioco, e liberare così i fidi membri dei Saints appartenenti allo staff presidenziale, per riportarli nel mondo reale. Considerati i toni leggeri e spassosi del plot, bisogna dar conto agli sceneggiatori di aver lavorato sodo, per costellare le vicende -surreali e sempre sopra le righe- di sorprese e colpi di scena, in una sapiente alternanza tra momenti comici e sequenze epiche che sembrano uscite da un blockbuster d’azione.
E' insomma la varietà il leitmotive di Saints Row 4: il team si è dato un gran da fare per far collidere diversi stili e situazioni eterogenee: vi basti pensare che nella Steelport virtuale potremmo acquisire dei superpoteri, trasformando il titolo in uno strano miscuglio tra Matrix e Protoype. E non manca persino qualche influenza di Mass Effect: quando non saremo connessi alla rete aliena, potremo girovagare per l'astronave rubata agli Zin, interagire con il nostro equipaggio o “provarci” con i membri del team (siano essi uomini, donne o macchine).
Rispetto al terzo capitolo, la capacità di parodiare i grandi capolavori del mondo dei videogame o le eccellenze di Hollywood si fa sentire più marcatamente: ne esce una sceneggiatura bizzarra, tamarra, esagerata, ma sicuramente meno triviale che in passato.
E’ UN UCCELLO ? UN AEREO ? NO, E’ IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA!
Tra le innovazioni di questo quarto capitolo, quella dei super poteri è senza dubbio la novità che ha destato maggior interesse, dal momento che influisce in maniera consistente sul gameplay di Saints Row 4. Il nuovo capitolo della saga sembra quasi una sorta di Crackdown iperpompato, dove si può correre verticalmente sui grattacieli, effettuare balzi sovrumani e lanciare palle di fuoco. Queste sono solo alcune delle diverse abilità che apprenderemo completando le missioni principali, o procedendo nel gioco e raccogliendo i diversi “Cluster” sparsi per la città. Alcuni tra i giocatori più conservatori potrebbero accusare Volition di aver stravolto la saga, tuttavia ci teniamo a rassicurarvi che l’anima free roaming di Saints Row è rimasta immutata.
Le nuove capacità permettono semplicemente di esagerare in ogni aspetto del gioco, ad esempio lasciandoci eseguire combo ancor più micidiali su chiunque tenterà di sbarrarci la strada, o permettendoci di spostarci da una parte all'altra della mappa senza necessariamente utilizzare i mezzi (ma schizzando come cavallette).
E' insomma una fortuna che la politica degli eccessi abbia stavolta intaccato l'aspetto ludico del titolo e non solamente quello legato all'ironia Politically Incorrect. Al di là delle ovvie somiglianze con il Prototype di Activision, insomma, l'introduzione dei superpoteri è stata un vero e proprio colpo di genio.


Data la natura sandbox del titolo, il giocatore sarà libero di esplorare a piacimento la città di Steelport immediatamente dopo le prime missioni introduttive. Oltre alla quest principale, le attività da svolgere sono tantissime: alcune sono completamente inedite, mentre altre sono state importate dal terzo capitolo. Oltre al vandalismo a piedi, alle scorribande con veicoli ed alle truffe (rivisitate con armi e veicoli alieni), si aggiungono le sfide con i superpoteri. Ad esempio troviamo sessioni “podistiche” denominate “fuoco e fiamme”, dovremo intraprendere una corsa supersonica tra le strade della città prima dello scadere del timer, oppure le sfide di un “super fight club”, in cui fare incetta di super cattivi.
Vi sono anche una serie di incarichi secondari legati alla trama del titolo, che ci permetteranno di ottenere importanti upgrade o sbloccare i super poteri per gli alleati liberati nelle missioni principali: saremo infatti in grado di chiamare i membri del nostro consiglio di gabinetto per darci man forte sul campo.
La varietà, avrete capito, non manca, e la svolta aliena aiuta in tal senso: potremo condurre a piacimento anche delle incursioni di sabotaggio contro le installazioni Zin, e liberare così vaste aree della città dall’influenza extraterreste, permettendoci di reclutare persino i passanti tra le fila dei Saints.
Saints Row 4 si riconferma insomma un titolo vastissimo, anche se resta perlopiù un immenso “sfogo videoludico”, che propone una vasta offerta di attività frenetiche, immediate, ma leggere e sempre disimpegnate. Ed è così che il continuo riproporsi degli eventi “casuali”, nonchè delle missioni facoltative, a lungo andare incontra i limiti con cui ogni free roaming deve scendere a patti.
Per contrastare l'immancabile iteratività, i negozi in giro per la città propongono articoli in gran quantità, consapevoli che il “giocazzeggio” di Saints Row 4 passa anche dalla customizzazione del personaggio. Dedicarsi allo shopping selvaggio è sempre uno sfogo interessante: qui si può scegliere tra una moltitudine di abiti, che spaziano da eleganti smoking arancioni, orribili abbinamenti trash in puro stile Volition, sino ad arrivare ai costumi da supereroe. Ci sono poi diverse officine e negozi tramite i quali potremo customizzare e potenziare armi e auto, e cliniche di chirurgia estetica per (ri)accedere all'editor del personaggio e cambiare qualsiasi elemento (sì: proprio tutti!).
Ovviamente data la presenza di creature extraterresti, gli sviluppatori hanno ben pensato di introdurre una moltitudine di veicoli ed armi alieni. Potremo salire a bordo di strane automobili fluttuanti e di potenti navicelle in grado di mettere a ferro e fuoco la città, ma anche imbracciare pistole improbabili, come un fucile in grado di generare piccoli buchi neri o la Dubstep Gun: un’arma che spara -a ritmo di musica- dei proiettili in grado di far ballare chiunque vi capiti a tiro.
Saints Row 4, insomma, vuole rilanciare la serie soprattutto dal punto di vista quantitativo: se non è “better” dei tanti Free Roaming che hanno affollato questa generazione, sicuramente il titolo è (much much) bigger.
Esiste anche una modalità multiplayer che ci permette di condividere l’intera esperienza di gioco con un amico, ee sparse per la città si potranno trovare diverse sfide che ci permetteranno di gareggiare in modalità versus. Alcune sono alquanto singolari: nella modalità “gatto e topo” dovremo fuggire con una carretta da minigolf mentre il giocatore avversario ci insegue con un carro armato. Ma anche in questo caso la storia si ripete: la modalità multiplayer non ci ha colpito particolarmente, anzi ci è parsa piuttosto insipida, specialmente se paragonata con quella di altre produzioni congeneri.
Concludendo, bisogna ammettere che Deep Silver ha lavorato bene per il rilancio della saga. Ha anzitutto “abbassato i toni”, tornando ad un umorismo più citazionista e sicuramente più “sano”, e poi ha lavorato per ampliare il gameplay, sfruttando la vena assurda del plot per inserire elmenti apparentemente molto eterogenei. Visto però che l'ambiente e soprattutto la filosofia del gioco son sempre gli stessi, è impossibile non sentire, soprattutto al limitare della generazione, il peso di un riciclo concettuale. Saints Row 4, per certi versi, sembra la rielaborazione di un’espansione in sviluppo per il terzo episodio prima del fallimento di THQ. Fortuna vuole che si tratti di un'espansione dagli ottimi contenuti. La sensazione viene accentuata anche dalla durata meno interessante della campagna: la scia di missioni principali si porta a termine in men che non si dica (circa otto ore), e solo le quest secondarie (coi limiti di cui sopra) allungano la permanenza del gioco nei vostri Hard Disk.

Se siete milionari e non sapete come godervi il vostro capitale allora siete nel posto giusto. I folli di Volition hanno da poco annunciato la Super Dangerous Wad Wad Edition: alla modica cifra di un milione di dollari potrete accapparrarvi, tra le altre cose, un corso da spia professionista, un viaggio nello spazio con la Virgin Galactic, una Toyota Prius, una Lamborghini Gallardo e un intervento di chirurgia plastica a piacere. Naturalmente si tratta di un’operazione di marketing atta a promuovere il titolo; tuttavia si tratta di una trovata decisamente originale, non trovate?
Dal punto di vista tecnico Saints Row IV si basa su una versione aggiornata del CTG (Core Tecnology Group) engine già utilizzato per il terzo capitolo saga. Nonostante siano passati ben due anni, il motore riesce ancora a reggere il passo coi tempi, anche se denota una carenza poligonale nei modelli dei personaggi di contorno, specialmente se paragonati col protagonista e comprimari. Un netto miglioramento è stato ottenuto con gli effetti particellari, che rendono ancor più spettacolari esplosioni, raggi di luce e poteri di ogni foggia.
Data la natura dell’ambientazione (un programma alieno che riproduce virtualmente la città), gli sviluppatori hanno volutamente inserito un particolare effetto “pixelloso” che vedremo apparire casualmente durante le nostre partite su automobili e oggetti: una scelta scenica semplice e decisamente riuscita, che rende perfettamente la sensazione straniante della realtà virtuale. Anche il comparto animazioni risulta ben curato, ampliato dalle movenze che accompagnano i nuovi superpoteri: notevoli ad esempio le spettacolari combo che potremo eseguire con una brutalità fumettistica sui malcapitati alieni.
Per ciò che concerne la fisica di gioco, Saints Row 4 è mosso dal motore Havok, anche se avremmo apprezzato un'implementazione più attenta, dato che l'engine gestisce ben pochi elementi dello scenario, frenando in parte la sensazione di potenza legata alla distruttibilità dell'ambiente.
A parte questo sulla nostra configurazione di prova (un i5 2500 con 8gb di ram ed una Nvidia 560 Ti) siamo riusciti a gustarci l’ultima fatica Volition con tutti i filtri attivati al massimo, a 1920x1080, senza riscontrare particolari cali nel frame rate.
Sotto il profilo audio invece il titolo tocca vette d’eccellenza, a partire dall’ottimo doppiaggio (esclusivamente in inglese) che vede attori del calibro come Keith David, Terry Allan Crews, Michael Dorn (Il Worf di Star Trek) e molti altri: tutti riescono a dare un tocco davvero speciale ai bizzarri personaggi del titolo.
Ma non si possono non citare le sette stazioni radio (sei fanno ritorno dai precedenti capitoli), con le loro cento tracce, che spaziano dalla musica classica all’hip hop moderno. Se prendete il tutto e lo mescolate insieme ai convincenti effetti sonori, non avrete dubbi sul fatto che Saints Row 4 risulti una vera e propria festa per il vostro impianto.

Saints Row 4 non vuole abbandonare il podio dei titoli più trash, spacconi ed esuberanti di sempre. Giunti al quarto episodio, i ragazzi Volition rimangono ancorati all’humor tipico del precedente capitolo, anche se riducono la componente più spicciola e discutibile, per darsi al citazionismo più estremo.
L’introduzione dei superpoteri ed il setting alieno ravvivano la saga, che ritrova un po' di respiro anche dal punto di vista del gameplay, avvicinandosi (forse un po' troppo) a prodotti come Prototype e Crackdown.
Saints Row 4 si presenta anche con una veste grafica aggiornata, che seppur con qualche sbavatura riesce a fare egregiamente il suo lavoro.
Peccato che poi manchi quel guizzo in più, quella cura per i dettagli che avrebbe spostato la produzione più verso l'eccellenza dei sandbox targati Rockstar, allontanandola dalla sfera “comune” dei free roaming iterativi. Il fatto che la città sia sostanzialmente una copia di quella del terzo capitolo, le missioni secondarie impunemente riciclate e riproposte con poche variazioni, sono elementi che, anche a fronte di quest più fresche, tracciano confini un po' stretti per il titolo Deep Silver.
Consigliato agli amanti della saga, ma anche a chi cerca un titolo frenetico e disimpegnato.


VOTOGLOBALE 8

Splinter Cell Black List: Recensione!

Passato leggermente in sordina a causa della prestazione non brillante del suo predecessore,Splinter Cell: Blacklist si appresta -questo 22 Agosto- a far cambiare idea non solo ai suoi fan storici, ma anche ai semplici appassionati d’azione e stealth. Grazie ad un’ottima varietà d’azione, tante trovate capaci di mantenere vivo l’interesse nella progressione ed un sapiente mix tra puro stealth e azione frenetica, Blacklist si presenta al pubblico come uno tra i capitoli più riusciti della saga; sicuramente il migliore dall’avvento di questa generazione di console.
Il titolo riesce a coinvolgere il videoplayer in una progressione sempre vivace, sostenuta da un preziosissimo lavoro di design dei quadri e dalle continue possibilità di personalizzazione della dotazione di Sam. Anche la vicenda, pur facendo da semplice contorno, non annoia, soprattutto per via di una caratterizzazione ben riuscita dei protagonisti. Un videogame di alto livello, da non perdere, che accusa solo qualche piccolo inciampo sulla strada verso il successo.

Quello di Splinter Cell: Blacklist è un intreccio narrativo ricco di cliché e situazioni già viste. Ciononostante, qualche colpo di scena abbastanza riuscito e il già citato spessore degli attori digitali, riesce a mantenere vivo l’interesse del giocatore nelle circa dodici ore necessarie a completare le sole missioni principali.
Dopo l'assalto alla base militare di Andersen, sull'Isola di Guam, il governo americano riceve un tremendo ultimatum terroristico. Un'organizzazione conosciuta come gli Ingegneri chiede il ritiro delle truppe statunitensi da ognuno dei Paesi in cui si trovano stanziate, pena la prosecuzione della "Blacklist": una serie di attacchi a scadenza settimanale su obiettivi sensibili in tutto il Mondo, con un occhio di riguardo verso il continente a stelle e strisce. "Stiamo arrivando in America" minaccia il fantomatico leader del gruppo, provando con la registrazione del cruento attacco a Guam di fare estremamente sul serio; tanto da allertare il Presidente in persona.
Resta solo una cosa da fare: mandare in campo la Fourth Echelon, rinnovata task force militare guidata -ora- dal nostro buon Sam Fisher. Un gruppo d'élite che vede tra le sue fila l'esperto di tecnologia e comunicazioni Charlie Cole, il maggiore Isaac Briggs e, naturalmente, Anna Grimsdòttir (Grim) al supporto logistico. Vecchie e nuove conoscenze in un team pronto a tutto per prevenire la minaccia. Una corsa contro il tempo dai ritmi sostenuti, durante la quale il trovarsi sempre sul filo del rasoio contribuisce a mantenere alta la tensione e l’attenzione.
Chiudiamo la parentesi narrativa sottolineando ancora una volta la prestazione attoriale, che ha ben saputo coinvolgerci nonostante un plot non certo originalissimo. La caratterizzazione dei membri di Fourth Echelon risalta, così come i rapporti tra il burbero Sam e i suoi compagni, o la figlia, che potremo contattare di missione in missione per brevi intermezzi che ispessiscono ulteriormente il protagonista. Meno convincenti, invece, gli avversari, un po’ troppo stereotipati e legati indissolubilmente ai “cliché terroristici” della recente produzione hollywoodiana. Qualche vecchia conoscenza di Sam, nel bene e nel male, ed un pizzico del suo burrascoso passato costituiscono infine la ciliegina sulla torta di quello che possiamo senz’altro definire un soddisfacente intreccio.

A livello ludico la struttura di Splinter Cell: Blacklist si presenta subito differente rispetto a quella precedenti capitoli. S’inserisce, ad esempio, una piccolissima porzione open world a bordo del Paladin, la base operativa volante della Fourth Echelon. Girovagando tra ponti, celle di detenzione e sale controllo, potremo anzitutto interagire con i membri dell’equipaggio, ottenendo nuove informazioni incarico dopo incarico e svolgendo, per loro conto, missioni secondarie. In secondo luogo, esplorando il Paladin come si deve, recupereremo nuovi documenti ad ogni incarico, in grado di rivelare retroscena sempre più approfonditi sulla vicenda principale. Le stesse missioni secondarie, da affrontare in singolo oppure in cooperativa, offriranno dettagli extra riguardo agli Ingegneri, ai loro piani e ai loro affiliati, cementando la continuità narrativa. Il risultato di tutti questi fattori è una progressione variegata e allo stesso tempo coesa, remunerativa e sempre interessante. Come vedremo in seguito, la costante presenza di incarichi secondari non aumenta soltanto la varietà, ma contribuisce anche a spezzare efficacemente i ritmi della campagna principale, ottenendo -non bastasse- punti extra per personalizzare l’equipaggiamento e il Paladin.
Quella della personalizzazione, più di tutte le altre feature, è la più gradita nell’ossatura di Blacklist. Spendendo i punti guadagnati sul campo in nuovi gadget, tute mimetiche, visori e miglioramenti tecnici alla base operativa apriremo continuamente la porta a nuove varianti di gameplay, scacciando il rischio di ripetitività.
"Single player e Multiplayer si amalgamano in maniera inaspettatamente convincente e funzionale in Splinter Cell: Blacklist, facendone uno degli episodi più riusciti della saga: oseremmo dire il migliore dopo l’esordio"Anche in questo caso i lavori di bilanciamento ed integrazione appaiono a dir poco perfetti: i loadout potranno essere personalizzati per adattarsi al proprio stile di gioco ed alla missione, mentre ogni nuova conquista tecnologica del Paladin si rifletterà immediatamente in-game, offrendo piccoli bonus ed un incremento dei moltiplicatori di calcolo del punteggio. Insomma Ubisoft ha allestito una struttura capace di coinvolgerci, convincerci ed esaltarci dal primo all’ultimo istante.
Parlando di puro gameplay, flessibilità ed adattabilità sono concetti molto cari al team di sviluppo, a giudicare in primis dai quattro livelli di difficoltà presenti e selezionabili in qualsiasi istante. I veterani della saga potranno selezionare dal principio "Realistico" o "Prefezionista", vedendosi decurtare o persino eliminare del tutto le Esecuzioni rese possibili dal sistema di targeting introdotto in Convinction. I nemici si faranno più sensibili a rumori e movimenti sospetti e la resistenza di Sam ai proiettili verrà ridotta ai minimi storici. Scendendo verso "Recluta", naturalmente, le cose verranno di volta in volta semplificate, ma è interessante notare come, fino a livello di difficoltà “Normale”, il tasso di sfida non subisca flessioni esagerate.
A questo proposito ci sentiamo di lodare il lavoro svolto dal team riguardo alla programmazione dell'intelligenza artificiale. I momenti d’interdizione passando vicini a guardie non particolarmente sveglie sono stati ridotti all'osso, ed un convincente miglioramento si registra nella consapevolezza delle stesse riguardo alla situazione. Ci è capitato diverse volte, ad esempio, di stendere una delle guardie di pattuglia, osservando le restanti (in contatto radio) cominciare a chiedersi dove fosse il compagno, mettendosi ben presto in agitazione e sulle sue tracce. Siamo stati testimoni di situazioni in cui due avversari hanno pensato di unirsi per cercarne un terzo scomparso, in cui gruppi di quattro si sono avvicendanti in una meticolosa caccia all’uomo dandoci parecchio filo da torcere. E potremmo continuare, sfornando una lista piuttosto vasta. Qualche pecca, naturalmente, non manca (guardie che tornano troppo in fretta allo status di “tranquillità”, che si lasciano prendere troppo facilmente alle spalle o che vengono attirate più volte nella stessa direzione) ma in linea generale il comportamento dell’IA è esemplare.


"Varietà": sembra proprio questo il leitmotive di Blacklist. Su tutto è il level design a spiccare, spingendoci a sperimentare, sfruttare l'ottimo sistema di coperture ed esplorare ognuno dei tre approcci possibili a ciascuna situazione. Potremo agire come veri e propri spettri (stile Fantasma), evitando lo scontro e lasciando in vita, stordite o persino ignare, tutte le guardie presenti nei quadri. Saremo in grado di lasciarci silenziosamente alle spalle una scia di cadaveri (stile Pantera), oppure di assaltare ogni gruppo ad armi spianate (stile Assalto). Come abbiamo detto più volte non ci sono approcci giusti o sbagliati, tanto più che ognuno, a fine missione, pagherà con moneta sonante, a seconda del livello di difficoltà, dei nemici eliminati/evitati e molto altro ancora. Essendo Splinter Cell: Blacklist ultimo capitolo di una saga votata all’azione stealth, l’approccio Fantasma sarà il più remunerativo in termini di punti e moltiplicatori: una scelta ovvia e intelligente, dato che ci spingerà verso l’attenta esplorazione e la ricerca di soluzioni sempre nuove.
Starà a noi sfruttare le tante trovate del level design per gestire le situazioni pericolose: una prerogativa sulla carta vincente ed apparsa assolutamente esaltante alla prova con mano. Per quanto si possano criticare le azioni alla luce e le ambientazioni aperte, non si può negare che il mix di esterni/interni e quadri diurni e notturni funzioni a meraviglia in Blacklist. La possibilità di arrampicarsi "alla Assassin's Creed" su un buon numero di sporgenze apre tantissime nuove strade, come anche la profondità della dotazione e la facoltà di avvicinarsi ai nemici di soppiatto o scatenando un putiferio.
Lanciare una sticky-cam per distrarre ed addormentare i nemici; stordire una guardia e nasconderne il corpo; sfruttare di tanto in tanto le Esecuzioni per liberare in velocità e con stile un'area e scappare infine da una situazione troppo calda lasciando i nemici alle prese con la nostra ombra, regala sensazioni da tempo sopite. La quantità di strade alternative, segreti da trovare (penne USB, Laptop da violare) e bersagli chiave da catturare vivi ed interrogare, rendono questo Splinter Cell il più ricco e vasto di sempre.
Non manca, infine, nemmeno un sistema di scelte morali, per quanto non così vasto e profondo. Avremo in ogni istante la facoltà di scegliere come eliminare gli avversari: mandarli semplicemente KO o ucciderli? Nessun limite verrà posto al giocatore, tanto più che le Esecuzioni automatiche potranno essere eseguite anche con le armi non letali (balestra o pistola stordente). Inoltre, nei momenti cruciali di svariate missioni, quando verremo in contatto con i bersagli scottanti, ci verrà data (tramite QTE) la chance di scegliere se risparmiare o meno loro la vita. Variazioni per la maggior parte inutili ai fini narrativi, piuttosto orientate all’acquisizione di achievement o trofei.


Ubisoft, con Splinter Cell: Blacklist, non ha lesinato nemmeno sul comparto multiplayer, ricco e convincente quasi come il single player. Il primo contatto è con le missioni cooperative, accessibili direttamente dal Paladin attraverso le richieste dei nostri compagni d’avventura. I circa quindici incarichi disponibili si divideranno, in questo caso, in tre tipologie, esattamente quanti sono gli approcci alle situazioni di gioco. Parte degli incarichi secondari prevederà l’infiltrazione furtiva in un’area ed il recupero di dati sensibili o altro; altri ci chiederanno di eliminare tutte le forze nemiche in un’area, ancora una volta senza farci notare. Una terza opzione, la meno efficace, recupererà gli stilemi dell’Orda alla Gears of War, catapultandoci in quadri in procinto di essere invasi dal nemico e ordinandoci di resistere a ben venti assalti consecutivi e sempre più pesanti. Parentesi a parte per le missioni legate al tenente Briggs: una vera e propria mini-campagna secondaria da giocare esclusivamente in due (le altre potranno essere affrontate anche in solo), nella quale adottare l’approccio più congeniale alla situazione.
Un livello di sfida mediamente tarato verso l’alto e diverse possibilità “di coppia” (la classica scaletta per raggiungere punti inaccessibili, le irruzioni coop e l’immancabile possibilità di sincronizzare esecuzioni e takedown normali) rendono interessante ed altamente coinvolgete questa porzione cooperativa di Blacklist, che beneficia inoltre di quadri dedicati, extra nascosti da recuperare paragonabili a quelli della campagna principale ed un level design altrettanto articolato ed allettante.
Ad un’interessante reparto cooperativo fa il paio quello competitivo, che si arricchisce della storica modalità Spie contro Mercenari, nella quale alle Spie sarà chiesto di violare tre terminali ed ai Mercenari di difenderli per l’intera durata della partita. Il game mode è riproposto qui in due varianti: quella “Classica”, un due contro due asimmetrico nel quale potremo selezionare solo tre classi predefinite senza possibilità di personalizzazione, e la “Blacklist”, la versione moderna che prevederà il quattro contro quattro -sempre asimmetrico- con possibilità di sfruttare i custom layout (costruibili spendendo anche i punti acquisiti in single e coop). Si aggiungono poi altre due modalità: “Estrazione” (4 contro 4) vedrà le Spie occupate a difendere dati che i Mercenari dovranno estrarre, mentre “Controllo Dati” (3 contro 3 misto) riproporrà un Re della Collina in salsa Tom Clancy, dove a dover essere conquistati e mantenuti saranno dei centri di trasmissione. Chiude un non troppo convincente Deathmatch a squadre miste (4 contro 4), inserito probabilmente per espandere il raggio d’interesse ma, alla luce della prova, scarsamente efficace.


Il feeling delle modalità (deathmatch a parte) appare vicino a quello che ha fatto letteralmente innamorare una vasta schiera di giocatori di Pandora Tomorrow. Sebbene qualche cambiamento possa far storcere il naso ai puristi, la sfida tra Spie e Mercenari in Blacklist torna finalmente ad accendersi. E lo fa anche grazie al solito level design, capace di esprimersi piuttosto bene anche in multiplayer. Chi ha spolpato la prima interazione di Spie VS Mercenari ricorderà perfettamente le ore passate in solitaria esplorando ogni anfratto di ogni mappa in cerca del percorso migliore per i terminali. Anche in questo caso ritroveremo quella passione. Forse un po’ stemperata da una non eccessiva complessità delle sei mappe a disposizione al day one (l’assenza di telecamere di sorveglianza e rilevatori laser di movimento si fa sentire), ma certamente rinvigorita dalla possibilità di personalizzare la dotazione. Un’offerta allettante tanto per gli storici fan del multiplayer competitivo quanto per i nuovi arrivati, a patto di trovare un partner e degli avversari in grado di “sottostare” alle regole di Splinter Cell.
Ed è forse questo il più grosso “limite” del comparto competitivo di Blacklist: l'urgenza di una comunità in grado di interpretare l’offerta ludica per come era ed è stata pensata, e non come un chiassoso TPS. L’esperienza con Assassin’s Creed, da questo punto di vista, insegna.
Prima di fasciarsi la testa, in ogni caso, è bene aspettare che si popolino i server per osservare l’evolversi della situazione. Così come per riportare eventuali problematiche legate a netcode e bilanciamento: valutazioni che richiedono una mole di partite e partecipanti al momento impossibile da mettere in piedi.

A livello tecnico Splinter Cell: Blacklist mostra qualche passo avanti rispetto a Convinction, dimostrando in ogni caso, ed una volta in più, che questa generazione ha raggiunto il suo limite. Specialmente se parliamo di Unreal Engine. La modellazione di protagonisti e comprimari appare solida e convincente, anche se il lavoro sui volti risulta piuttosto altalenante. Da una parte troviamo Sam e Briggs, caratterizzati da espressioni facciali ben implementate ed un’espressività di grande impatto; dall’altra Grim, Charlie, il Presidente degli Stati Uniti e qualche altro “attore collaterale”, le cui emozioni fanno fatica a trasparire da un set di animazioni facciali piuttosto posticcio e non troppo esaltante.
Si tratta, in ogni caso, di problematiche non così gravi e certamente non in grado di minare una produzione tutto sommato ben confezionata. Se distogliamo lo sguardo dal particolare e passiamo al generale, infatti, notiamo l’ottima realizzazione dei livelli e dei fondali, caratterizzati da una texturizzazione di alto livello, per quanto non esaltante. Lodevole, riguardo al comparto texture-shader, soprattutto il mantenimento costante della qualità. L’aggiunta del “pacchetto texture in HD” da installare inserendo il secondo DVD (almeno su Xbox 360 - la versione da noi provata) sembra fare, almeno da questo punto di vista, il suo lavoro. Non si notano quindi differenze tra aree più o meno esposte al passaggio ed il colpo d’occhio ne beneficia.
Ottimo, come già avevamo detto, il level design. Pur non presentando particolari spunti alla voce “distruttibilità”, le ampie facoltà d’arrampicata unite alla facoltà di ripararsi pressoché ovunque spostandosi di ostacolo in ostacolo senza soluzione di continuità, rendono sempre fresca la progressione.
Senza particolari guizzi o disastri riguardo all’effettistica particellare (nella media) ed il solo -e sporadico- tearing da evidenziare per quanto concerne i difetti tecnici, l’analisi può passare al comparto sonoro, dal quale, a dirla tutta, ci saremmo aspettati anche qualcosa di più. Le campionature sono fantastiche e la spazialità sonora a dir poco perfetta. L’immersione nei silenzi ad attendere il completamento delle ronde o ad ascoltare il chiacchiericcio delle guardie o il respiro dei cani da guardia rende tutto molto realistico e coinvolgente. Quando si arriva al doppiaggio, tuttavia, la magia -almeno in minima parte- si dirada. La prestazione di Luca Ward (che presta nuovamente la voce al buon Sam) è di livello così alto non solo da oscurare le altre, ma da renderne alcune addirittura sottotono. Sia tra le file amiche che quelle nemiche ascolteremo dunque voci dall’intonazione non sempre appropriata alla situazione o non adatte al personaggio. Un vero peccato dato che, soprattutto nelle situazioni più drammatiche, a risentirne è il coinvolgimento. Una scorsa tra le opzioni, a questo proposito, dimostrerà come la versione anglofona (Luca Ward a parte) sia nettamente superiore.

Single player e Multiplayer si amalgamano in maniera inaspettatamente convincente e funzionale in Splinter Cell: Blacklist, facendone uno degli episodi più riusciti della saga: oseremmo dire il migliore dopo l’esordio, una generazione fa. A livello ludico si tratta senza ombra di dubbio del capitolo più completo e riuscito, in grado di unire segmenti stealth di ispirazione classica e dall’alto tasso di sfida a momenti meno tesi e più orientati all’azione, dando, non bastasse, completa libertà al videoplayer. Una pluralità vista raramente in uno stealth game, corroborata da un level design brillante e ricchissimo di spunti; nonchè dalla novità della personalizzazione, perfettamente integrata alla struttura ludica e capace di valorizzarla costantemente.
Il lavoro di Ubisoft, in questo caso, è di quelli da premiare senza indugi. Splinter Cell: Blacklist è un titolo capace di coinvolgere vecchi e nuovi appassionati, amanti dell’action e dello stealth. Un prodotto che, grazie al ben studiato multiplayer, potrebbe anche far risorgere un trend morto e sepolto dopo Pandora Tomorrow.
Per chi pensava che Sam Fisher, dopo Convinction, fosse “morto”, questa è una chiarissima risposta. Un riscatto come non se ne vedono spesso, capace di recuperare efficacemente anche le feature più contestate, reinserendole e contestualizzandole in maniera molto migliore. Un titolo assolutamente da non perdere!

VOTOGLOBALE 9

mercoledì 7 agosto 2013

Tales of XILLIA: RECENSIONE

Disponibile da ormai due anni in Giappone, Tales of Xillia è uno dei J-RPG più attesi degli ultimi anni. Tredicesimo capitolo della saga Tales of, si è presentato con uno score quasi perfetto (39/40) su Famitsu, facendo ben sperare i numerosissimi fan europei ed italiani della saga, nonché gli appassionati di produzioni ruolistiche in salsa orientale.
Dopo diversi giorni di prova intensiva, possiamo dire con certezza che l’attesa non è assolutamente stata vana e che le aspettative non verranno disattese. Tales of Xillia si presenta ottimamente su tutti i fronti: dalla narrazione, impreziosita dal charachter design di Kōsuke Fujishima e Mutsumi Inomata (stimati designer già in altri episodi della saga), sino alle caratteristiche di un gameplay ben bilanciato, che unisce amabilmente tradizione e modernità. Qualche inciampo, soprattutto a livello tecnico, ed il peso di un rilascio tanto ritardato, appesantiscono un po' la produzione; ma non gli impediscono nemmeno di ergersi come un'esperienza interessante e coinvolgente.
Preparatevi, dunque, possessori di Playstation 3, perché l’8 Agosto verrete letteralmente rapiti dal magico mondo di Rieze Maxia.
Le vicende narrate in Tales of Xillia non sono tra le più originali. Anzi, a dirla tutta ricalcano cliché visti e rivisti in ambito J-RPG, probabilmente anche nel corso della saga stessa. Sullo sfondo di un’imminente guerra tra i regni di Auj Oule e Rashugal, i nostri due protagonisti principali -Milla Maxwell e Jude Mathis- si troveranno ad affrontare una minaccia ancor più grave. Tutto il mana necessario agli abitanti di Rieze Maxia per vivere in armonia con gli spiriti sta venendo prosciugato, e segretissimi esperimenti su cavie umane sono perpetrati per creare potentissime armi di nuova concezione. I nostri, almeno all’inizio, saranno spinti da motivazioni diverse: Milla è l’incarnazione umana di Lord Maxwell, potente Signore degli Spiriti in marcia per fermare la brama egoistica degli uomini; Jude è uno studente di medicina nell’accademia della capitale, coinvolto quasi per caso negli avvenimenti e incapace poi di tirarsi indietro a causa del suo forte senso del dovere. La scelta iniziale tra protagonista maschile e femminile prevede dunque l’unica differenziazione di un piccolo prologo introduttivo, passato il quale i due si uniranno nel lungo e tortuoso cammino che li porterà alla meta.
Il tragitto, costellato di insidie, farà entrare Milla e Jude in contatto con molti altri personaggi, più o meno importanti. Quattro, in particolare, andranno a completare il roster di combattenti e amici che li seguirà nell’intero arco narrativo. Analizzando i sei è evidente sin dalle prime battute il certosino lavoro di caratterizzazione di Fujishima e Inomata. Per quanto anche in questo caso gli stereotipi non manchino, le personalità spiccano in maniera molto convincente, arricchendo ottimamente l’avventura con risvolti spesso squisitamente personali. Grazie anche ad un doppiaggio inglese di buonissima fattura, gli eroi mostrano uno spessore emotivo non comune, e si dimostrano capaci di coinvolgere il videogiocatore anche quando i ritmi narrativi si fanno meno sostenuti e vivaci. Qualche cut-scene collaterale di troppo spezza di tanto in tanto il pathos della vicenda principale, affaticando il giocatore e mettendo duramente alla prova la sua capacità di concentrazione.
Non manca, in ogni caso la controparte "malvagia" del cast; e anche la caratterizzazione degli antagonisti è lodevole.


Volendo tirare le somme possiamo affermare che quello di Tales of Xillia è un comparto narrativo che, pur non entusiasmando, complessivamente convince. Il charachter design spicca, riuscendo a reggere in maniera efficace un sostrato narrativo non sempre allettante. Dai protagonisti emergono con naturalezza i temi e i valori tipici del genere d’appartenenza. Amicizia, amore, solitudine, coraggio e tradimento si mescolano benissimo nel plot di Tales of Xillia, raccontati con leggerezzama senza scadere nella banalità o in inutili e tediosi moralismi. Una sceneggiatura riuscita, in grado di mescolare senza particolari problemi momenti epici, drammatici e divertenti, chiude un quadro che gli appassionati sapranno sicuramente apprezzare.

Dal punto di vista ludico Tales of Xillia riesce a mescolare con sorprendente efficacia elementi tipici della serie e vere e proprie novità, rivendicando una fortissima personalità. Spicca, in particolare, unbattle system estremamente dinamico e molto più intuitivo di quanto l’altisonante nome (Dual Raid Linear Motion Battle System, o DR-Limbs per gli amici) faccia intendere. Si tratta, in sostanza, di un incrocio molto tecnico tra l’RPG ed il beat’em up: ad un tasto per attaccare ed uno per parare e schivare, si uniscono una serie di Arti Magiche ed Abilità passive, nonché la possibilità di muoversi liberamente nelle arene adibite agli scontri. Tutto in funzione dei Link, ovvero della facoltà di combattere in simbiosi con un secondo membro del party, sfruttandone le peculiarità.
Più difficile da spiegare che utilizzare, il sistema permetterà prima di tutto di combinare gli attacchi fisici in lunghe sequenze di colpi, inserendo complesse dinamiche di juggling senza nulla da invidiare ai picchiaduro meno blasonati. Una ritmata pressione del tasto d’attacco osservando i movimenti del compagno, e potremo esibirci in potentissime e spettacolari combo. Per assecondare questa necessità gli sviluppatori hanno deciso di modificare leggermente l’inquadratura in battaglia. InTales of Xillia osserveremo i combattimenti più da vicino, concentrati soprattutto sull’eroe controllato: un sistema in grado di coinvolgere maggiormente nell’azione, a scapito di una completa panoramica sul campo di battaglia. Scelta in ogni caso indispensabile, soprattutto per sfruttare le Linked-Arts, cuore pulsante del battle system di Tales of Xillia. Sotteso al riempimento di una speciale barra, il loro impiego ci consentirà di combinare con effetti devastati le normali Arti Magiche di due combattenti, sfruttando un semplice Quick Time Event. E se non bastasse, una volta pieno, l’indicatore di cui sopra ci permetterà addirittura di combinare le Linked-Arts stesse in sequenza, in maniera da infliggere danni ancor maggiori.
Va da se che, con tutti questi strumenti a disposizione, l’unico limite sarà la fantasia.
I virtuosismi di una struttura del genere ci manterranno sempre sull’attenti, specialmente quando ci scontreremo con Boss più potenti. In questi casi, sapere come muoversi per evitare i colpi più potenti ed essere in grado di contrattaccare velocemente infliggendo il massimo danno sarà di vitale importanza. Una bella sfida anche per i videoplayer più rodati.
Ogni amante del genere ruolistico, tuttavia, sa che ritmo e varietà da soli da soli non bastano a rendere solido e convincente un battle system. A tal proposito, infatti, Namco-Bandai ha dotato la sua ultima creatura di un sostrato tattico-strategico davvero profondo, mutuando caratteristiche dei classici Tales of ed inserendo anche in questo caso diverse novità. Gli avversari presenteranno caratteristiche peculiari di resistenza e debolezza, nonché una serie di specifiche attitudini in battaglia. Per sfruttare le debolezze e contrastare le attitudini dovremo essere abbastanza svegli da ricordare le caratteristiche dei nostri alleati e l’apporto combinato delle loro abilità. Molte delle skill passive più interessanti, infatti, comporteranno benefici solo quando saranno legate tra loro, accoppiando i lottatori in battaglia. Alvin, ad esempio, sfruttando la potenza di pistola e spada a due mani, potrà rompere la guardia dei nemici più coriacei, aprendo un varco ai rapidi attacchi di Jude. Al contrario Milla, in coppia con Jude, si premurerà di assorbirne una parte dei danni, proteggendolo con la sua Guardia Istantanea dagli attacchi alle spalle. Le variazioni sono tantissime, ed altrettante sono le abilità da sperimentare sul campo per un’azione sempre fresca e ricca di spunti. Non mancheranno, naturalmente, le classiche alterazioni di status, e la necessità di adeguare le proprie azioni alla disponibilità di Action Points e Art Points, per un bilanciamento tattico davvero efficace dell’intero sistema.


Varietà e dinamismo si uniscono insomma all'impianto tattico per creare qualcosa di davvero unico nel panorama JRPG: un sistema di combattimento capace di proporre costantemente nuove situazioni ed entusiasmare anche dopo decine e decine di scontri.
Se tutto funziona così bene, non certo prima di un periodo di adattamento (i tutorial sono infatti piuttosto scarni), lo si deve anche al particolare sistema di sviluppo dei personaggi. Una sorta di Sferografia a forma di ragnatela vedrà Arti, Abilità e potenziamenti disposti all’incrocio di diverse linee, lungo settori ben definiti. Forza Fisica, Capacità Magica, Agilità, Destrezza caratterizzeranno una struttura da ampliare ponderando il percorso da intraprendere, e tenendo in considerazione le caratteristiche intrinseche del personaggio. Nuove Arti Magiche e nuove Abilità faranno continuamente capolino all’interno delle maglie, dandoci la facoltà di sperimentare costantemente nuove combinazioni.
Un sistema che impreziosisce notevolmente la progressione e rende meno tediosa una certa tendenza al grinding di Tales of Xillia. Da questo punto di vista gli sviluppatori hanno lavorato abbastanza bene, ma si sono evidentemente lasciati sfuggire qualcosa in termini di bilanciamento. Nel corso del nostro test abbiamo optato per due playtrough differenti: uno a difficoltà Facile e l’altro Normale. Se nel primo la necessità di “livellare” è quasi assente e la progressione continua snella e lineare, con un buon tasso di sfida, nel secondo caso tutto cambia un po’ troppo radicalmente. Non solo i boss fight ma addirittura certi avversari normali richiederanno che il party sviluppi una certa esperienza, sfoltendo continuamente i mostriciattoli più deboli presenti, fortunatamente, in zone di frequente passaggio. Considerando la facoltà di agire sul livello di difficoltà in qualsiasi momento, in ogni caso, questo aspetto non rappresenta un difetto in grado di minare la progressione.

Dopo il combattimento, è l’esplorazione a caratterizzare il successo o il fallimento di un gioco di ruolo. Nel caso di Tales of Xillia si tratta senza dubbio di un successo, con inciampi davvero rari.
A differenza di congeneri più blasonati, la produzione Namco-Bandai mette a disposizione una mappa del mondo a navigazione libera, nella quale l’apertura delle diverse aree sarà vincolata solamente alla progressione nella quest principale. Tra spiagge, foreste, semplici praterie e dungeon d’ogni genere, ci troveremo a scorrazzare per un’ampissima varietà di location, città incluse, ricche di scrigni e segreti più o meno nascosti da recuperare. A spingerci in una meticolosa ricerca, una semplice ma brillante idea: l’offerta dei negozi sarà legata a doppio filo proprio all’esplorazione, dandoci la possibilità di investire i materiali (o il denaro) nello sviluppo delle differenti attività commerciali. Gli esercizi itineranti saranno caratterizzati quindi da un livello, che regolerà la disponibilità di oggetti sempre più rari e potenti e la quantità di sconto sugli stessi. Per incrementarlo non potremo far altro che accumulare sempre più materie prime, setacciando in lungo e in largo le ambientazioni cittadine ma sopratutto i dungeon.


La trovata appare sin dal principio funzionale ed intelligente. In questa maniera, infatti, non solo l’esplorazione in se viene resa più proficua ed interessante, ma viene anche mitigata la noia legata alla necessità di combattere per aumentare il livello dei personaggi.
Da non dimenticare, poi, l’ottimo level design di dungeon ed aree cittadine. Molti RPG tendono a trascurare questo aspetto, limitandosi a proporre una navigazione sostanzialmente lineare. Tales of Xillia convince anche qui, puntando spesso sulla verticalità ed inserendo soluzioni nuove, capaci di spronare il giocatore a ragionare come se si trovasse di fronte a piccoli enigmi ambientali da risolvere. Per raggiungere i luoghi più reconditi ci vorrà uno spiccato spirito di osservazione ed una meticolosa dedizione. Come dicevamo, però, niente (o quasi) sarà fine a se stesso: oltre al potenziamento degli item shop non mancheranno strambi oggetti segreti ed orpelli estetici per modificare in maniera divertente i nostri beniamini.
Non mancano ovviamente le sub-quest, che rappresentano però in questo caso il tallone d’Achille della produzione Namco-Bandai. Le missioni secondarie e gli incarichi opzionali soffrono a causa di una forte ripetitività. A fianco di spunti interessanti come il ritrovamento di particolari e potentissimi creature mutate, infatti, ci scontreremo con la continua necessità di liberare questa o quell’area dal controllo di un branco di mostri, oppure consegnare i più disparati oggetti. Molte altre produzioni ruolistiche fanno affidamento su questo genere di quest secondarie, lo stesso Ni No Kuni ne è un esempio. Da una produzione così curata, tuttavia, ci aspettavamo qualcosa di più, benché si tratti di missioni in fin dei conti totalmente trascurabili. La speranza di vedere missioni legate alle vicissitudini personali di questo o quel personaggio (alla Final Fantasy VII) è rimasta insomma tale, ed anche se considerando gli incarichi secondari si superano le cento ore di gioco (trenta bastano per uno "speedrun"), solo i fan più convinti si dedicheranno alle attività secondarie.
Prima di passare avanti è doveroso ammettere che questo aspetto non sminuisce, pur intaccandola, la qualità ludica generale dell’opera, che rimane per l’intera durata dell’avventura a livelli veramente elevati.

A livello artistico Tales of Xillia è senza dubbio un’opera di spessore, grazie soprattutto alla collaborazione tra Kōsuke Fujishima e Mutsumi Inomata. I due hanno lavorato per trovare un punto d'incontro tra gli stili che ne caratterizzano l’operato e garantire una spiccata coerenza visiva, senza rinunciare alla particolarità del tratto. I lineamenti morbidi di entrambi i protagonisti sfumano da una parte nell'abbondanza di dettagli ed in un volto dai tratti spigolosi (Jude sembra uscito dall'ottimo Tales of Vesperia), dall'altra in un design un po' meno carico di minuzie, e più limpido nella sua aderenza ai canoni di genere (Milla rispetta il paradigma regolare di Tales of Graces). Il risultato appare assolutamente riuscito ed in grado di aderire pienamente al canone artistico tipicamente nipponico che, soprattutto chi ama anime e manga, ha imparato da tempo ad apprezzare.
Dal punto di vista squisitamente grafico, invece, Tales of Xillia non stupisce. Questo capitolo resta un titolo vecchio di due anni. Tale “anzianità” non si riflette solo sulla mole poligonale, sulle animazioni e sulle texture, ma in linea di massima su tutto il comparto tecnico. Da questo punto di vista ha fatto molto meglio Ni No Kuni, probabilmente grazie alle cure dello Studio Ghibli, ma anche per scelte stilistiche ben più espressive. Qui, invece, una certa genericità degli ambienti non fa troppo bene al look della produzione, che si avvicina a quello di un anime ma non regge il confronto con altri colleghi. Le scelte cromatiche sono invece di prim'ordine e anche se gli scenari non pullulano di dettagli, il colpo d'occhio regala immediatamente quelle sensazioni che paiono essere esclusive delle software house nipponiche.
Il merito di tanto fascino e poesia lo si deve anche alla trascinante colonna sonora di Motoi Sakuraba, il cui nome è legato al franchise Tales of e agli Star Ocean. L'eclettismo sonoro ben si nota passando da un'area di gioco ad un'altra, da una allegra partitura per chitarra ad una melodia dal sapore tipicamente orientale.
Ultime note sull'adattamento. Non è possibile selezionare, purtroppo, le voci originali in Giapponese, ma l'adattamento inglese appare assolutamente rispettoso del piglio recitativo, riservando particolari spunti soprattutto alla parte comica, storicamente di spigolosa conciliazione tra oriente ed occidente. I sottotitoli italiani, d’altro canto, accompagnano regolarmente lo svolgimento dell'azione, senza errori e con pochissime disattenzioni.

VOTOGLOBALE 8.5

martedì 23 luglio 2013

PIKMIN 3 (wiiu): RECENSIONE!


Correva l'anno 2002, e gli entusiasmi per la cubica console Nintendo, uscita in Europa da pochi mesi, mandavano in fibrillazione i fan della casa di Kyoto, a cui sarebbe toccata -lo diciamo col senno di poi- una console splendida e incompresa, simbolo perfetto di una vitalità creativa probabilmente mai eguagliata nella generazione successiva. Fu proprio quello l'anno di Super Mario Sunshine e Animal Crossing, di Resident Evil 0 e Metroid Prime; e fu quello l'anno in cui Pikminraggiunse, con il consueto ritardo rispetto ai mercati d'oltre oceano, i lidi europei.

Per molti, l'incontro con le minuscole creature di Miyamoto fu un momento di sincera rivelazione: significò la conferma dell'amore incondizionato per un'azienda storica, che negli anni aveva saputo dipingere immaginari avvolgenti e bellissimi, e al contempo calpestare i confini del sistema di generi partorendo strani ibridi dai tratti perfetti. Di fatto, Pikmin è stata probabilmente l'ultima grande operazione di creazione di un brand compiuta da Nintendo; che aveva presentato il suo Wii con le migliori intenzioni, ma ha poi abbandonato Project Hammer e compagnia bella per tornare ad esplorare le sue saghe storiche. E storico era diventato nel frattempo anche il marchio Pikmin, nonostante fosse uscito soltanto un seguito due anni dopo l'originale: la formula era talmente brillante ed efficace che tutti avrebbero voluto un nuovo capitolo nell'era del Wiimote.

Ci è toccato invece aspettare più di dieci anni ed il nuovo hardware in HD per mettere le mani sull'incredibile Pikmin 3. Un titolo che per fortuna non ci fa rimpiangere la lunga attesa, ma anzi ci vizia e ci coccola dall'inizio alla fine: meravigliandoci con l'incanto minuto delle piccole cose, coi suoi ritmi particolari, e con un design sostanzialmente unico. Se aspettavate, insomma, il gioco che più di ogni altro giustifica l'hardware Nintendo e lo caratterizza, potete smettere di cercare: Pikmin 3 è arrivato.

NUOVI E VECCHI PROTAGONISTI



Alph, Brittany ed il capitano Charlie partono dal pianeta Koppai armati di speranza e buona volontà. Il loro popolo ha consumato tutte le risorse di cibo rimaste sul lontano corpo celeste, e c'è un disperato bisogno di trovare qualche altra scorta, negli oscuri meandri della galassia. Il trio approda ovviamente sullo stesso pianeta in cui Olimar bazzica già da un po': se è la Terra, si tratta un'epoca ormai lontana da quella degli uomini. Nel micromondo di Pikmin non c'è spazio per il chiassoso andirivieni delle persone, forse estinte da secoli. Le tracce dell'umanità persistono ancora: qualche scatola di latta, vasi e cocci sparsi in giro, barattoli e mattoni. Ma tutto resta in una quiete immobile, sovrastato dal rigoglio degli elementi naturali. Dal terreno, dal nuovo brodo primordiale di pozzanghere scaldate dal sole, sono nate specie sconosciute: strani insetti pelosi, molluschi capaci di interrarsi come un grillotalpa, meduse volanti e coccinelle bipedi. E ovviamente i Pikmin: creaturine che paiono animali e vegetali allo stesso tempo, e vivono invece in "cipolle" che sembrano meccaniche.

Alcuni dei momenti più belli di Pikmin 3 sono proprio quelli in cui si (ri)scopre l'ecosistema perfetto tratteggiato da Nintendo, e quella spietata catena alimentare che proprio alla base colloca i piccoli esserini che danno il titolo alla produzione. Libellule eteree che succhiano il nettare di fiori sbiaditi, tapiri in miniatura che sputano fuoco, rane viscide e corolle che si aprono quando vengono illuminate da vecchie lampadine: quella di Pikmin sembra proprio la versione caricaturale e ritorta del nostro pianeta, o meglio di una sua parte infinitesimale e invisibile, nascosta nel sottobosco, o fra i cespugli del giardino, o nelle profondità limacciose dei laghetti ornamentali. La direzione artistica ricercata e preziosa accenna costantemente ad un immaginario che conosciamo, ma poi ne scombussola i tratti, li deforma, divertendosi a farci sentire "straniatamente a casa". Ancora oggi, a più di dieci anni di distanza dalla sua creazione, il mega-minimondo di Pikmin è un'incantevole esplosione di colori, uno scontro di forme originalissimo e delizioso, ed una delle ambientazioni più piacevoli da esplorare.

Ma è anche un mondo insidioso: di fatto l'astronave dei tre protagonisti non riesce neppure a raggiungere indenne il suolo, schiantandosi rovinosamente. Per fortuna la nave sembra più resistente della Dolphin, ed il prode Alph riesce a rimetterla in funzione: senza la chiave di cifratura è impossibile tornare a casa, ma almeno si può abbandonare l'atmosfera durante la notte, quando le creature si fanno più aggressive. Fatto sta che al giovane ingegnere di Koppai non resta che recuperare i propri compagni (non ci vorrà molto), e magari anche un po' di cibo, visto che le scorte scarseggiano. Per fortuna i frutti che nascono sul pianeta sono commestibili, e possono servire sia per il sostentamento immediato dell'equipaggio che per salvare il pianeta.

La missione del trio, dunque, sarà quella di raccogliere più frutta possibile, inseguendo nel frattempo le tracce del capitano Olimar, che sembra aver raccolto la chiave per tornare a casa.

Fatte le dovute premesse, comunque, Pikmin 3 lascia in disparte la componente narrativa, esile e superflua fino alla fine, concentrandosi integralmente sul gameplay. Che, come sempre, è difficile da definire: Pikmin è come un gestionale in miniatura, uno strategico in tempo reale in cui truppe, armi e risorse sono gli stessi esserini che scattano quando sentono il suono del fischietto. Lanciandoli contro oggetti e nemici i Pikmin interagiscono con loro, e le cinque razze presenti in questo terzo capitolo hanno tutte proprietà differenti, che richiedono di usare con attenzione le nostre microscopiche truppe.







La progressione, in Pikmin 3, segue dei ritmi tutti particolari, che differenziano fortemente il titolo Nintendo da tutto quello che anche vagamente si sforza di assomigliargli. Sostanzialmente l'avventura si divide in singole giornate: il trio scende sul pianeta alla mattina, ed ha tempo fino a sera per esplorare l'ambientazione, alla ricerca di succosi bocconcini o degli oggetti che emettono uno strano segnale (e rappresentano gli obiettivi principali dello stage). Mentre il sole procede nel suo cammino ci si deve preoccupare di rimpinguare le nostre scorte di Pikmin, facendo in modo che quelli già in nostro possesso portino all'astronave i cadaveri dei nemici o le corolle dei fiori, e nel mentre si lavora per costruire un percorso che ci faccia raggiungere la meta. I Pikmin possono scavare per abbattere i muri di terriccio che ci sbarrano la strada, oppure raccogliere i frammenti di coccio per costruire un ponte che ci permette di superare un fiumiciattolo. E' impossibile concludere lo stage in una singola giornata, perchè le cose da fare sono tante ed il tempo passa piuttosto rapidamente. L'importante è cercare di portare a casa almeno un frutto, dal momento che ogni sera l'equipaggio deve necessariamente mangiare una razione.

Rispetto al primo Pikmin, quindi, sparisce l'ossessione dei 30 giorni disponibili per portare a compimento l'avventura, ma questo nuovo sistema si rivela indovinato e intelligente. Il gioco è abbastanza indulgente, e permette di portarsi a casa succosi cocomeri e avocadi che permettono di sopravvivere per diversi giorni; eppure, ogni volta che si scende sul pianeta si sente come l'urgenza di impegnarsi per ridurre al minimo i tempi morti e massimizzare il "guadagno" in termini di ritrovamenti "fruttiferi".


"Pikmin 3 è il gioco che tutti i possessori di Wii U stavano aspettando. E' un titolo unico, colmo di quella vivace genialità tipica dei grandi capolavori Nintendo, qui declinata in un gameplay dalla fortissima personalità"

Alla fine dell'avventura le scorte saranno sufficienti per tornare nelle location e cercare di completare il gioco raccogliendo tutto quanto, ma il ritmo non è mai troppo calmo, ad anzi bisogna imparare a gestire al meglio il trio, che può pure dividersi per massimizzare i risultati. Torna utilissimo, in questo caso, il pulsante "dirigiti qui", che permette, grazie alla mappa visualizzata sul Gamepad, di inviare uno dei tre protagonisti in un punto preciso della mappa mentre ne controlliamo un altro: senza usare questa opzione si corre il rischio di sprecare intere giornate, ed un po' di multitasking diventa quindi indispensabile. Studiare attentamente le planimetrie del livello, capire quale sia la sequenza di azioni da compiere e quali siano i Pikmin che ci servono è fondamentale per tornare a casa soddisfatti.

Che poi è proprio l'eccezionale senso di progressione che il design dei livelli riesce a trasmettere, a galvanizzare il giocatore. La prima giornata passata in uno stage scivola via mentre si ripuliscono le aree pericolose dai nemici o si aprono le strade boccate. Poco a poco ci si spinge fino ad esplorare nuove zone del livello, che poi magari si riallacciano alla prima: dopo aver camminato per giorni si raggiunge un mucchio di macerie che ci permette di costruire una scorciatoia, o una scatola da spostare per tornare in fretta alla nave senza compiere il tragitto a ritroso. Poco a poco ci troviamo a costruire fisicamente gli stage, quasi come se li "restaurassimo" mentre liberiamo la strada per raggiungere il boss di turno.

Particolare nei tempi e capace di trasmettere una soddisfazione che sembra stare a metà fra quella dei puzzle e degli strategici, Pikmin 3 risulta elettrizzante anche nel corso degli scontri con i giganteschi titani di fine livello. Per sconfiggere questi enormi bestioni bisogna studiarne routine e punti deboli, così da attaccare al momento giusto e con il giusto tipo di Pikmin. Come si diceva prima, tutte le razze hanno le loro particolarità: i Pikmin blu respirano sott'acqua, quelli rossi sono resistenti al fuoco e ben dotati in combattimento, quelli gialli si fanno beffe degli attacchi elettrici e possono essere lanciati ad altezze vertiginose, e quelli rosa riescono a volare per trasportare oggetti a mezz'aria (ma attenti alle ragnatele). Nel corso dei livelli le abilità dei Pikmin vanno sfruttate con attenzione: a volte combinate ed altre invece utilizzate singolarmente, preparando una delegazione di colori specifici. Ma è proprio nel corso degli scontri con i boss che la scelta dei tempi e dei colori diventa fondamentale, pena una disfatta quasi totale, con decine di Pikmin che periscono sotto i colpi dell'avversario. In questi casi torna utile anche la possibilità di schivare a destra e sinistra, spostando tutto il contingente al seguito grazie ad un ordine impartito col "fischietto rotolante"; così come le scorte di gel con cui è possibile bagnare la propria compagine per renderla momentaneamente più forte e più attiva.







Nel corso dell'avventura, che dura circa quindici ore e si prolunga fino a venti se si vuole raccogliere ogni frutto, le due anime di Pikmin 3 (quella gestionale e quella "battagliera") si alternano in maniera praticamente perfetta, mentre il recupero graduale delle nuove specie permette di tornare indietro per riesplorare i livelli e scoprire nuove strade prima precluse. L'esperienza di gioco resta sempre vibrante, curiosa, e non annoia quasi mai, anche se verso la fine si sarà acquisita una manualità che renderà certe operazioni un po' meccaniche. L'unico vero rimpianto resta un numero di stage abbastanza ridotto, che pure sul fronte della caratterizzazione grafica propone poche variazioni. Comunque la densità della modalità storia basta e avanza per lasciare pienamente sazio il giocatore.

Se così non dovesse essere, ci pensano le "missioni", piccoli scenari aggiuntivi da completare in una manciata di minuti. Alcune sono incentrare sul recupero dei frutti, altre sull'abbattimento metodico dei nemici che popolano lo stage, ma entrambe le tipologie richiedono capacità di adattamento, spirito d'osservazione e soprattutto prontezza: ottenere la medaglia d'oro in tutti gli scenari significa studiarli con estrema attenzione ed evitare di sprecare secondi preziosi. Magari l'aiuto di un secondo giocatore può risultare provvidenziale.

Se invece siete in vena di competizione, potete optare per una partita alla modalità Bingo, divertente rivisitazione della formula di base che sfocia in partite tesissime, in cui non bisogna risparmiarsi strategie cattive e aggressive. I power-up con cui è possibile massacrare l'avversario e le scaramucce fra i Pikmin che si contendono un frutto sono tocchi di classe che rendono anche questa modalità sinceramente entusiasmante. Non si tratta certo della portata principale, ma di un dessert che non stona nel ricco banchetto (vegetariano?) di Pikmin 3.

Per giocare in due, fra l'altro, si può usare oltre che allo split screen anche lo schermo del Gamepad:Pikmin 3 supporta l'Off-Tv Play, ed è inutile dire che il mondo di gioco, sulla ridotta diagonale del touchscreen, appare semplicemente bellissimo. La versione miniaturizzata riflette lo stesso incanto che si apre di fronte ai nostri occhi anche sugli schermi dalla diagonale più generosa. Il lavoro svolto a livello tecnico è solido, e non è un caso se Miyamoto ha recentemente affermato che una saga come Pikmin potrebbe trarre beneficio dalle esagerate risoluzioni 4K: proprio la quantità strabordante di dettagli che compone ogni inquadratura rende vivi e vibranti gli stage. E' ovviamente lo stile, di cui si è ampiamente discusso, il punto forte della produzione, che riesce ad essere divertente e leggera ma mai superficiale e buonista. Nonostante sia un universo minuto, impalpabile, delicato, quello di Pikmin 3 è un mondo alle volte spietato, che non perdona gli errori.

Eccezionale il commento musicale, sempre intonato e appropriato, nei momenti di tranquillità come durante gli scontri.
Pikmin 3 è il gioco che tutti i possessori di Wii U stavano aspettando. E' un titolo unico, colmo di quella vivace genialità tipica dei grandi capolavori Nintendo, qui declinata in un gameplay dalla fortissima personalità. Pikmin 3 è un gioco pieno di vita, che rappresenta un'eccezionale operazione sui tempi e sui ritmi del genere strategico. Esplorando categorie diversissime, sempre aperto alle contaminazioni, il terzo episodio di una saga che si pensava perduta rivendica la sua eccezionalità, e si presenta ancora freschissimo e originale.
L'avventura scivola via lungo una quindicina di ore densissime, in cui si scoprono stage da esplorare con vorace curiosità, costruiti con attenzione e pronti ad esibire un design prezioso. A livello contenutistico il gioco non si fa mancare praticamente niente, ma è soprattutto lo stile che torna di prepotenza a stuzzicare l'utente. Il minuscolo mondo di Pikmin vibra, scalpita, animato dai fremiti di strane creature. Come 10 anni fa, questo mondo e le regole del suo ecosistema dipingono un'iconografia indelebile.
Insomma, Pikmin 3 è il titolo che ogni possessore di Wii U deve avere. Che sia anche il motivo per acquistare la console?


VOTOGLOBALE 9

venerdì 19 luglio 2013

PES 2014 in ANTEPRIMA

Quest'anno per il calcio virtuale si prospettano grandi cose. Electronic Arts con FIFA tenterà di approdare sulla next gen con Ignite, motore completamente nuovo ideato appositamente per gli sportivi della casa americana, mentre i ragazzi di Konami, dal canto loro, continueranno a percorrere la via sicura delle attuali console HD puntando tutto sul Fox Engine. Il 2013 sarà quindi l'anno della rivoluzione per gli amanti del gioco più bello del mondo!


Palla al centro
Negli ultimi anni PES ha perso lo smalto di un tempo, un po' per colpa della concorrenza, evolutasi in maniera nettamente più evidente ed in grado di offrire licenze e contenuti in abbondanza, ma anche a causa di un gameplay ormai superato, ancorato a binari e incapace di sorprendere.
Ormai costretta a rincorrere, quindi, Konami si è dovuta rimboccare le maniche e già con PES 2013 la volontà di riacciuffare il primo posto nel cuore dei giocatori è diventato l'obiettivo primario. Qualche cosa buona già la si era vista nella scorsa edizione ma l'arrivo del Fox Engine ha rimescolato completamente le carte in tavola. Murphy, Hosoda e anche Masuda in collegamento dal Giappone sembrano straconvinti della nuova strada intrapresa dal brand e le innovazioni portate quest'anno sono talmente tante e così importanti da poter parlare finalmente di gioco nuovo, e non di una semplice rivisitazione del calcistico dello scorso anno come ormai siamo abituati.
In PES 2014 tutto è cambiato, dalle animazioni alla fisica della palla, dall'influenza del pubblico sugli spalti ai controlli, fino ad arrivare ad una gestione completamente inedita del baricentro dei giocatori in grado, almeno stando ai programmatori, di rivoluzionare completamente il modo di approcciare le partite.
Tantissime novità dunque, forse troppe per poter essere valutate nel poco tempo messoci a disposizione: una decina di partite con il nuovo PES ci hanno dato solo una lieve infarinatura, per addentrarci nelle meccaniche saranno necessarie ore e ore di test approfondito.
Partiamo quindi con quello che si è palesato per primo dunque, ovvero l'impianto estetico di Pro Evolution Soccer 2014. PES si è sempre distinto per una qualità fotorealistica dei volti dei calciatori e mai come ora questo sarà un punto di forza. Credeteci quando vi diciamo di essere rimasti davvero esterrefatti da alcuni top player dei due team disponibili nella demo, Santos e Bayern Monaco per i curiosi. Neymar, Robben e Ribery impressionano per la cura riposta nella loro realizzazione, con quest'ultimo che mette in bella mostra il suo viso non esattamente da modello, asimmetrico e con tanto di cicatrici in evidenza. Un lavoro sbalorditivo sotto questo punto di vista che ci ha lasciati davvero a bocca aperta. Stesso discorso si può fare per gli stadi, per il pubblico e per l'atmosfera che questo dona alle partite. Le coreografie sono spettacolari e riportano davvero il sapore di una partita importante sui nostri schermi. Non si parla solo di estetica ma anche di impatto sul gameplay, dato che le tifoserie potranno influenzare in tempo reale le prestazioni dei giocatori. Ovviamente il tutto non è ancora perfetto e se guardati nel dettaglio i tifosi perdono parecchio, un difetto trascurabile allo stato attuale dei lavori ma che difficilmente cambierà nella release finale. Piuttosto deludente invece come sempre il bordo campo, con steward immobili e fotografi ancorati alle loro postazioni ma ignari di quello che succede sul campo. D'altronde si sa, a Konami è sempre interessato di più quello che accade all'interno del rettangolo di gioco, il resto è solo contorno.



Allacciamo gli scarpini
Sotto allora con i dettagli tecnici sul gameplay. Partiamo dalla prima vera, desiderata, rivoluzione: il movimento a trecentosessanta gradi. Ci sono voluti anni, annunci e smentite negli scorsi capitoli, ma questa volta finalmente il Fox Engine permetterà di muovere liberamente il giocatore senza dover per forza di cose rimanere ancorati alle vecchie 32 direzioni. Questo significa che possiamo finalmente dire addio agli odiatissimi binari, avere un maggior controllo sui calciatori e poter imbastire una maggior varietà di azioni e schemi. Alcuni binari rimangono, ma sono pochissima cosa e sono stati inseriti appositamente dagli sviluppatori per bilanciare meglio il gameplay. Pad alla mano la loro presenza non disturba eccessivamente, anche se da qui all'uscita ci aspettiamo ancora una limatura in questa direzione: vedere un giocatore correre verso la palla vicino alla linea di fondo e non riuscire a fermarlo in tempo prima che la butti fuori andandoci contro è una cosa che non vorremmo più vedere.
Non è tutta colpa dei binari tuttavia, ma anche di una inerzia eccessiva nei calciatori. Questa build ha messo in risalto una particolare difficoltà nei cambi di direzione in velocità e nell'arresto in corsa, segno che il carico sulle gambe dei giocatori era eccessivo. Potremmo capirlo sui difensori più arcigni ma quando questo accade anche a Neymar allora qualcosa va sistemato.
Prima di passare al controllo di palla vero e proprio, segnaliamo il completo rifacimento di cross, punizioni e calci piazzati, ora dotati di parabola visibile e regolabile con lo stick analogico così da renderli estremamente precisi e pericolosi. E' bastato poco per abituarsi al nuovo sistema, e dopo un paio di partite già eravamo in grado di far scavalcare alla palla la barriera con facilità nelle punizioni e di indirizzare la sfera proprio sulla testa dell'attaccante designato. Forse il tutto addirittura un po' troppo facilmente. I portieri in questo caso non hanno risposto sempre in maniera perfetta e le loro reazioni sui colpi di testa centrali ci sono parse ancora un problema.
Questo nonostante un nuovo set di animazioni che rende i movimenti degli ultimi difensori estremamente fluidi e credibili, e una nuova IA che li ha migliorati in maniera sensibile tra i pali, soprattutto sulle ribattute e le deviazioni. Persiste il problema dei tiri ad effetto dalla trequarti in grado di insaccarsi alle spalle dei portieri, un difetto che verrà sicuramente sistemato prima della release.



Controllo perfetto
A partire dai menù prepartita, dove sarà possibile impostare i classici schemi one touch per impartire tattiche rapide alla squadra, fino al singolo dribbling tutto è stato rivisto in PES 2014.
L'intento di Konami è quello di dare maggiore importanza alla singola skill del giocatore, permettendo così di avere un effetto definito "Giant Killing" ovvero la capacità con squadre minori di riuscire a battere anche team più blasonati. Se questa sarà la fine delle migliaia di partite tra Real e Barcellona disputate online e nelle competizioni ufficiali è presto per dirlo, ma sicuramente ci piace la direzione intrapresa e la volontà di cambiamento.
Dal canto nostro i giocatori veloci ci sembrano ancora capaci di fare la differenza, anche se bisogna ammettere che il ritmo imposto dai match è sicuramente più ragionato che in passato e riuscire dribblare tutta la difesa avversaria e arrivare sotto porta resta un'utopia. Gioco di squadra e filtranti la fanno da padrone con un sistema di controllo migliorato e un'IA in grado di proporsi nei momenti giusti in maniera aggressiva, forse anche un pochino troppo dato che chiamare con il doppio click sulla croce direzionale gli schemi per il fuorigioco ci ha permesso di guadagnare il possesso palla numerosissime volte.
Per quanto riguarda il gameplay, nello specifico è stata inserita la possibilità di fintare i rinvii con il portiere, interrompendo l'animazione del calcio lungo per poi passarla a un difensore arretrato. Con la pressione dello stick destro sarà possibile proteggere la palla con il corpo del giocatore e poi iniziare ad eseguire trick difensivi, mentre rimangono immutati i comandi per i Flick.
Sulle licenze invece ancora tutto è avvolto da una nube di mistero, con Murphy e i suoi che tengono la bocca ben cucita su qualsiasi tipo di rivelazione.
I passi avanti fatti rispetto a PES 2013 sono già evidenti e significativi. Ci sentiamo fiduciosi quest'anno per Pro Evolution Soccer: il nuovo comparto delle animazioni, contrasti migliorati, un'IA dei portieri rivista e soprattutto l'abbandono quasi completo dei binari ci fanno ben sperare per un vero e proprio ritorno in grande stile del brand, pronto a riprendersi quel buco lasciato nel cuore dei videogiocatori ormai da troppi anni. Il 2013 sarà un anno di fuoco per gli amanti del pallone, questo è poco ma sicuro.