martedì 18 marzo 2014

MGS V: Ground Zeroes (ps4, xone): RECENSIONE !




Se rapportato con i suoi illustri predecessori, Metal Gear Solid V: Ground Zeroesrappresenta un deciso cambio di rotta. Si smarca dalle lunghe sequenze d'intermezzo, prende le distanze dai memorabili scontri con i boss e, senza perdersi nel melodramma, procede al sodo. Sebbene, confermando le voci di corridoio, si possa giungere ai titoli di coda in un paio di ore, c'è più di un ottimo motivo per ricominciare la storia dal principio. E, tralasciando un goffo epilogo, è davvero un Metal Gear moderno: snello, schietto e maledettamente divertente.

Assaggio del futuro The Phantom Pain, la cui pubblicazione è prevista nel 2015, Ground Zeroes recupera la struttura di gioco e quanto sperimentato in Peace Walker, cult del 2008, molto sottovalutato dal pubblico. Le consuete tematiche, cariche a Kojima, sono presenti e tutto si sviluppa in una storia carica di colpi di scena, un racconto che, in quest'occasione, cade in secondo piano.

I toni sono cupi, più di quanto fosse lecito attendersi. E non è un mistero che Hideo, con questo titolo, abbia voluto sperimentare, affondando le mani nel torbido e nel provocatorio, gettando tutte le sue fiches sul tavolo verde. Per quanto apprezzi questa deriva matura – anche perché, parliamoci chiaro, ultimamente la saga veleggiava nel macchiettistico – ho trovato il finale, nella sua crudeltà, inconcludente, quasi imbarazzante. Ho il sospetto che Kojima abbia cercato il colpo di scena a tutti i costi, ma questo coup de théâtre (e, davvero, non avevo intuito dove si volesse andare a parare) mi ha lasciato basito. Ho quasi l'impressione che sia un pungolo spicciolo.



In effetti, il racconto esaurisce velocemente i suoi argomenti. Saltandolo a piè pari, sono giunto ai titoli di coda in meno di un'ora, longevità che si è triplicata, quando ho cercato di fare luce su tutti gli intrecci. Qualcuno, valutando il gioco in un'ottica sbagliata, storcerà il naso di fronte a questa longevità così misera, ma qui siamo di fronte a un semplice tutorial, un assaggio di cosa troveremo nel futuro The Phantom Pain. Non c'è altro in questi lidi: cinque missioni, da completare secondo diversi approcci.

Per la prima volta, ci troviamo al cospetto di un'avventura priva di vincoli, tutt'altro che lineare: all'interno dell'Omega Base, un prigione della marina statunitense, si ha davvero la libertà di agire seguendo il libero arbitrio. Sebbene ci siano degli elementi che riportano la memoria al glorioso passato, come i container piazzati giusto a fungere da riparo, il resto è un mondo che si apre letteralmente a ventaglio.

La fortezza pulsa di vita, sia su PlayStation 3 che sulla sua sorella più giovane: è dettagliata, pulita, precisa fino al millimetro e muta la sua pelle come un serpente, in base ai cambiamenti climatici. Quand'è inzuppata d'acqua, sembra uscita dalla cinepresa di John Carpenter e brulica di segreti, mentre quando è baciata dal sole, sembra algida, offre pochi ripari. E, in quei frangenti, non c'è flora che tenga, non c'è arbusto dietro al quale nascondersi.

C'è una tensione che si taglia col coltello, al punto che, e credetemi perché davvero lo penso, a tratti sembra di trovarsi al cospetto di un survival horror. Mai prima di oggi Boss è apparso così in forma; rotola, salta e combatte, sparando con una prospettiva in terza persona, una serie di nemici coriacei e intelligenti. Durante il giorno – e selezionando il livello di difficoltà più alto – questi soldati reagiscono al minimo rumore, scrutano l'orizzonte senza cadere in fallo e non hanno un attimo di esitazione.



Per fortuna, l'eroe ha due ottime frecce al suo arco: un paio di binocoli e l'iDroid (nonostante il gioco sia ambientato nel 1975, pare ci sia spazio per la Apple), che funge da mappa e riassume l'obiettivo della missione in corso. Le lenti hanno un valore a dir poco inestimabile nell'economia stessa del gioco, ma, se usate alla carlona, di certo non fanno la differenza.

Certo, nulla vieta di scendere in mezzo alla base, imbracciando un mitra e sparando all'impazzata: con un barra di energia rigenerante e il “reflex”, l'immancabile slo-mo che calza a pennello durante gli scontri a fuoco, non si sente il bisogno di altro. Al contrario del passato, si può uscire allo scoperto, senza il timore di incappare in una figuraccia.

Ma non saltate a conclusioni affrettate: l'anima stealth di Metal Gear è intatta. E il gioco, nella valutazione di una singola missione, tiene conto di questo particolare. Lasciandovi alla spalle una scia di cadaveri, non avrete mai accesso agli extra e ai bonus nascosti, potete metterci una pietra sopra all'istante. I Rambo da salotto se ne facciano una ragione.





Non c'è dubbio poi che una strategia furtiva elevi quanto Ground Zeroes ha di offrire, in termini di esperienza ludica. Per esempio, in una missione secondaria, Boss deve cercare di comunicare con un agente, presente sotto mentite spoglie all'interno della zona militare. Come agire? Anestetizzare il mondo intero, fino a bussare alla sua porta? Seguirlo a bordo di un veicolo, spuntare alle sue spalle e trascinarlo nell'ombra per l'interrogatorio? La scelta, al solito, spetta a voi: in fondo il nostro eroe è armato di tutto punto, ma non vedo perché dovreste creare un inutile trambusto.

Talvolta, quasi smentendosi, Ground Zeroes invita a uscire allo scoperto, dando fuoco alle polveri. La sequenza a bordo dell'elicottero, in cui si deve proteggere un bersaglio a terra, è generica, quasi da encefalogramma piatto. L'ho trovata banale, al punto da tralasciarla in seconda battuta.

Cadute di stile a parte, sono rimasto soddisfatto e mi sono trattenuto in compagnia del gioco per almeno una decina di ore. Fra sfide contro il cronometro, segreti da svelare e sezioni da ripetere, sperimentando un approccio diverso da quello utilizzato in precedenza, non mi sono di certo annoiato. C'è davvero di chi bearsene, non solo per chi è un perfezionista.
COMMENTO
Metal Gear Solid V: Ground Zeroes è un gioco breve, ma incredibilmente coinvolgente e chi riuscirà a mettere da parte i pregiudizi, resterà più che soddisfatto. Per quanto resti dell'idea che Kojima non sia ancora pronto per prendere le distanze dal passato, esplorando una serie di tematiche adulte e provocatorie, sono convinto che si stia procedendo nella giusta direzione, al fine di creare una nuova età dell'oro per questa serie. Così detto, non possiamo che fantasticare, cercando di capire quali traguardi The Phantom Pain voglia porsi.


VOTO: 8

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