martedì 24 marzo 2015

Bloodborne - Recensione






Yharnam non è più una città, ma un incubo urbano malato e contorto: un'enorme piaga che sanguina incessantemente, un corpo morto, una carcassa su cui banchettano bestie senza speranza. I suoi abitanti si trascinano per le strade con fiaccole e forconi, convinti di dare la caccia ad un mostro che in verità si nasconde dentro di loro, nel sangue infetto che già offusca i sensi, e come un tarlo schifoso e invisibile rode gli ultimi baluardi della lucidità. Yharnam è un'immensa fogna in cui si raccolgono i relitti di una catastrofe antica: cani annegati, ratti purulenti, corvi zoppi. E' lo spaccio universale delle deformità, della marcescenza; è il trionfo sudicio della morte. In questo suo prendere le distanze dal fantasy oscuro della serie Souls, attraversato da una bellezza sfiorita ma ancora percepibile, sta il primo elemento di originalità di Bloodborne, spietata creazione di From Software che finalmente rappresenta un'esclusiva monumentale per la console di casa Sony. La scelta stilistica operata da Hidetaka Miyazaki è estrema, esagerata, persino folle a pensarci bene; eppure viene portata avanti con una coerenza incrollabile. Non c'è, in Bloodborne, un briciolo di bellezza, un guizzo di scolorito lirismo: non c'è speranza o riscatto, e tutto viene trascinato nel gorgo di una follia pervasiva. Anche quando mettiamo finalmente piede fuori dalle mura di Yharnam -scendendo in basso sui pontili della città vecchia, o addentrandoci nei boschi velenosi che circondano l'osservatorio celeste, ai margini di un lago dalle acque tenebrose- Bloodborne ci chiede di confrontarci costantemente con bassezze disumane, con bestie di una deformità quasi disturbante. L'immaginario partorito da Miyazaki è insomma più grave ed eccessivo rispetto a quello del cupo Dark Souls, e anche per questo intriso di un fascino morboso. Come da tradizione non c'è un racconto forte a seguire le gesta del protagonista dannato: più che una trama, in Bloodborne, ci sono delle suggestioni, un'esposizione criptica, ermetica fino all'estremo. Miyazaki non sembra intenzionato ad inventare una storia, ma vuole invece costruire una mitologia: a tratti sfuggente, sicuramente mai esplicita, e forse proprio per questo così seducente. Bloodborne “racconta” insomma di una città paralizzata dal contagio e degli strani rituali della Chiesa della Cura, istituzione che si prodiga nella purificazione del sangue, versato nei suoi calici sacri e poi benedetto sugli altari. Ma in fondo c'è anche il dubbio terribile che tutto il rituale della caccia sia solo immaginato, e che Yharnam sia un luogo della mente: una trappola comatosa in cui veniamo precipitati dalla trasfusione infetta con cui inizia l'avventura.
Giunti alla fine del viaggio è dura credere che ci sia una sola verità; e come al termine dei Souls è facile lasciarsi tentare da dubbi e ipotesi. Nonostante manchi il trasporto di una trama solida e presente, in ogni caso, la parabola di Bloodborne resta indelebile, capace -come la malattia di cui racconta- di infettare il giocatore. Testimoni di un martirio che può condurre solo all'inferno del sangue, si resta ammaliati dalle perversioni che ci si parano innanzi: è come attardarsi ad esplorare il disfrenamento di una bestialità antica, che procede per mutazioni successive a spaccare le spoglie mortali dell'uomo, a deviarne il corpo, contorcerlo, spremerlo, e gettarlo poi in quell'enorme fossa comune che è Yharnam, cimitero della ragione.

Bloodborne non avrà il “marchio” della saga Souls, ma a tutti gli effetti ne rappresenta un'estensione. Più che un seguito, è una via parallela che From Software ha deciso di tracciare, allontanandosi leggermente dai ritmi dei suoi precedenti lavori ma senza tradirne la struttura di base. Di fronte, insomma, ci troviamo un Action RPG violento, cattivo; un titolo che richiede una dedizione integrale. Di più: essendo intriso di un lieve ma percepibile sadismo, Bloodborne richiede a tratti di sopportare un po' di dolore, acuto al punto da scoraggiare più di un giocatore. La premessa è d'obbligo, soprattutto perché in questi mesi si è fatto un gran parlare del presunto abbassamento della difficoltà, voluto per un titolo che deve rivolgersi ad una platea più ampia di quella a cui parlava il primo Demon's Souls. Niente di più sbagliato: Bloodborne è un gioco spietato, difficile da approcciare senza la giusta esperienza e i giusti paratesti, proibitivo nel senso più schietto del termine. Non è un gioco per tutti, e per le strade di Yharnam cadranno in tanti, torturati dalle oscillazioni della difficoltà e dai momenti di sconforto, che a volte sembrano quasi replicare quelli del primo Dark Souls. L'impronta di Miyazaki, insomma, si avverte anche nella cattiveria di un titolo che non fa sconti, e che non si prende neppure la briga di spiegare al meglio i suoi meccanismi. E' forse questo ermetismo che continuerà a rappresentare, per molti nuovi utenti, lo scoglio capace di fiaccare ogni convinzione: a chi dovesse avvicinarsi per la prima volta ad un prodotto From Software consigliamo di cercare aiuto nei meandri della rete, perché leggere e informarsi, e capire quali siano le regole di questo sistema impietoso, è un passo imprescindibile per affrontare con meno complicazioni gli orrori della città. I veterani della serie scopriranno invece un sistema a tratti familiare, con qualche differenza sostanziale in grado di dare a Bloodborne un retrogusto nuovo. Qui le anime (in pratica l'esperienza accumulata tranciando le assurde creature di Yharnam) sono state sostituite dagli Echi del Sangue, da recuperare dopo ogni morte presso la sudicia macchia che indica il punto della disfatta. A meno che non siano state rubate da uno dei nemici voraci e avidi che popolano l'area, e che spesso costringono ad una caccia tesa e nervosa nel tentativo di riagguantare il bottino.


Fin dai primi minuti di gioco si percepisce comunque che rispetto ai suoi “padri spirituali”Bloodborne vuole distanziarsi anche sul fronte del gameplay. L'idea di concentrarsi quasi integralmente su un'azione rapida e martellante, rimuovendo un sistema di magie classico e rifiutando di bardare i personaggi con armature e scudi, è diretta conseguenza della nuova iconografia, che abbandona del tutto le influenze medievali per portarci in un gorgo di architetture vittoriane. Qui si perde insomma la mitologia di maghi, arcieri e cavalieri, ed al giocatore viene imposta la “macro-classe” del Cacciatore: un predatore rapido e spietato, dai riflessi ferini, tenace e ostinato. Combattere a viso aperto è insomma un imperativo: bisogna scegliere la propria arma d'elezione fra un numero abbastanza ristretto, e poi metabolizzare le animazioni di entrambe le sue forme. I tasti d'attacco diventano in buona sostanza tre, si allarga il moveset, e lo scontro con le creature di Yharnam si tramuta in una stringente operazione sui ritmi dei colpi e degli assalti. A meno che non vogliate utilizzare il futile scudo di legno, non avrete nessun sistema per difendervi direttamente: dovrete imparare a sfruttare le schivate, che sostituiscono la capriola quando la visuale è “incollata” su un nemico e non risentono più del sistema di peso degli oggetti, tranciato via integralmente da Bloodborne. Usando con il giusto tempismo un'arma da fuoco, fucile o pistola a ripetizione, sarà possibile interrompere i colpi del nemico, e vederlo barcollare quel tanto che basta per avvicinarsi ed eseguire un “attacco cruento”: l'equivalente sanguigno del backstab, altrettanto letale ed imprescindibile per chiudere in fretta gli scontri con i boss, o con gli altri cacciatori che pattugliano le strade della città.
Il risultato è un sistema di combattimento molto più teso, nervoso e a tratti tecnico, che rimuove chirurgicamente le sicurezze del giocatore e lo costringe ad affrontare le minacce in maniera rapida e decisa. Considerando che il numero di completi è molto ridotto, e che pure il novero delle armi non si avvicina minimamente a quello di Dark Souls 2, sulle prime sembra che la virata diBloodborne sfoci in un prodotto meno complesso e stratificato dei suoi predecessori, riducendo un po' quella pluralità di approcci che da sempre è legata ai giochi di ruolo. E invece c'è solo bisogno di scoprire tutte le conseguenze di un sistema nuovo e intelligente. Decidendo di puntare sulla statistica Tinta del Sangue, ad esempio, sarà possibile imbracciare armi da fuoco letteralmente poderose, mentre concentrandoci su Arcano avremo a disposizione alcune “magie” di supporto e armi dall'effetto paragonabile a quello di certi vecchi incantesimi offensivi.
Dato che non esistono più fiaschette ricaricabili, anche il numero di fiale di sangue recuperate dai nemici sarà importante: Arcano influisce pure su questo aspetto, limitando di molto le necessarie (e un po' tediose) sequenze di “farming” a cui bisogna - di tanto in tanto - dedicarsi. Bloodborne, insomma, è un gioco che pure gli appassionati della saga Souls devono esplorare, capace di proporre un'enorme varietà di stili di gioco: persino il sistema di potenziamento delle armi, che sfrutta alcune rune che ne alterano le caratteristiche, aggiunge una profondità inattesa, trasformandolo in un prodotto stratificato e meravigliosamente originale. Chi si aspettava insomma un clone integrale dei Souls deve ricredersi. Miyazaki ha compiuto un piccolo miracolo: abbattendo alcuni dei pilastri su cui si reggeva il gameplay delle sue precedenti produzioni, e rinsaldandone invece altri, ha creato un gioco dal sapore nuovo ma consueto, riuscendo nell'impresa di trovare una forte originalità nella conservazione.

Il Sogno del Cacciatore è un luogo etereo che esiste oltre il mondo turpe e corrotto di Yharnam. E' qui che ci riportano le lanterne sparse per la città, in una sorta di snodo centrale che ha la stessa funzione del Nexus di Demon's Souls. L'andirivieni fra questo cimitero onirico e la città delle bestie non tramortisce però il level design, che anzi raggiunge e supera le vette qualitative del primo Dark Souls. Eccezion fatta per alcune aree autonome e indipendenti che si raggiungono verso la fine dell'avventura, scoprire la struttura tentacolare e ritorta di Yharnam e dei boschi che la circondano è un piacere francamente smisurato. Il numero di lanterne sparse per l'area di gioco resta contenuto: non raggiunge gli eccessi della scorsa produzione proprio perché gli spostamenti sono regolati da una serie di scorciatoie che esibiscono la composizione tortuosa e arroccata di ogni zona. Scoprire come muoversi, come evitare le aree ricolme di nemici che abbiamo già attraversato, come raggiungere in fretta un boss senza sprecare fiale di sangue strada facendo, resta un sistema imprescindibile per riuscire a concludere dignitosamente l'avventura.
L'urgenza di tornare spesso e volentieri nel Sogno, per salire di livello o anche solo per far ricomparire tutti i nemici e raccogliere poi un po' di Echi, costringe purtroppo a confrontarsi con tempi di caricamento francamente inaccettabili. La laconica schermata di loading si ripresenta incessantemente di fronte agli occhi del giocatore, costretto a restare inerme per lunghi minuti anche dopo ogni morte. La frammentazione del ritmo di gioco che ne consegue è dolorosa dall'inizio alla fine, a tratti assillante, ed è senza dubbio la conseguenza più fastidiosa di un processo di ottimizzazione non proprio esemplare. L'avventura di Bloodborne, in ogni caso, risulta sicuramente più corta rispetto a quella di Dark Souls 2, molto condensata e per fortuna punteggiata da boss fight quasi sempre ispirate e senza ricicli evidenti. Purtroppo la gestione del “new game +” non è molto convincente, in quanto il gioco costringe ad avviare una nuova partita non appena sono terminati i titoli di coda. Da questo punto di vista la struttura di Dark Souls 2 e dei suoi Falò Ascetici rappresentava senza ombra di dubbio un enorme passo avanti, che Miyazaki ha deciso purtroppo di non confermare.


Come nel caso dei Souls, tuttavia, l'esperienza di gioco non si esaurisce arrivati alla fine dell'avventura: Bloodborne si congeda lasciandovi dubbi, zone oscure, e celando gran parte dei suoi segreti. Ad esempio la possibilità di trasformarsi in bestia, sussurrata nel corso dell'avventura e regolata da chissà quale meccanismo, o le conseguenze dell'interazione con alcuni NPC che tetri si attardano nelle case del borgo ormai in rovina. O ancora i boss opzionali, a cui strappare i calici di sangue.
Le reliquie sacre della Chiesa della Cura rappresentano senza dubbio un contenuto endgame dall'estensione e dalla forza smisurata. Intrappolati nei labirinti che i calici possono generare, scopriamo che l'esperienza di Bloodborne può prolungarsi a dismisura. Il level design dei dungeon è sicuramente meno complesso rispetto a quello della città e delle sue pertinenze, ma non certo povero di stimoli. Tra stanze segrete dove raccogliere i reagenti per attivare i calici più complessi, non mancano scontri con boss inediti, ed in più c'è la possibilità già annunciata di generare strutture procedurali in cui perdersi per ore.
L'estensione e le potenzialità dei Chalice Dungeon sono davvero enormi, ad oggi solo timidamente percepibili: considerando la presenza di cinque livelli di profondità per ognuno dei quattro calici (in oltre quaranta ore di gioco siamo riusciti a trovare solamente i primi due), e la possibilità di attivare rituali aggiuntivi per modificare la difficoltà e le caratteristiche dei nemici, quello dei Chalice Dungeon è un sistema che andrà esplorato per mesi: una vera e propria esperienza parallela a quella dell'avventura principale, che mescola la cattiveria tipica della serie con la natura procedurale dell'endgame di Diablo. Peccato soltanto che, ancora una volta, From Software inciampi sul fronte del multiplayer. Le opzioni di condivisione dei dungeon di cui il team ci aveva parlato restano scarsamente efficaci, e per ritrovarsi all'interno dello stesso labirinto bisogna nuovamente misurarsi con un sistema di evocazioni, strani appaiamenti di server, livelli di sangue. E' un peccato vedere ancora oggi limitazioni del genere, soprattutto in un titolo che predilige per natura l'esperienza cooperativa a quella competitiva, ma il fascino dei Chalice Dungeon non ne esce troppo ridimensionato. L'esperienza di gioco ad essi correlata, per estensione e aspirazioni, è di fatto paragonabile ad un'avventura alternativa.

I tempi di caricamento letteralmente fuori proporzione non sono l'unica pecca del comparto tecnico di Bloodborne. Anche il frame rate va annoverato tra i problemi della produzione, arrivata sul mercato a seguito di un processo di ottimizzazione evidentemente parziale. Non ci sono mai gli eccessi dell'indimenticabile Città Infame, ma solo raramente la fluidità può dirsi solida e costante. Ai singhiozzi di Bloodborne si riesce per fortuna a fare l'abitudine dopo qualche ora di gioco, dal momento che non intaccano in maniera problematica l'esperienza complessiva. Per il resto il colpo d'occhio regge il confronto con l'hardware che ospita il titolo, per merito soprattutto della modellazione poligonale e degli effetti di luce. Non manca qualche texture che sembra più “antica” delle altre, ma l'atmosfera e l'abbondanza di dettagli compensano abbondantemente le piccole storture. Dopo l'installazione della patch la scena risulta complessivamente molto pulita, merito anche di un filtro anti-aliasing efficace, anche se non al top della produzione esclusiva su PlayStation 4 (ancora inarrivabili i risultati della post-produzione di Infamous). L'eccellenza del look diBloodborne, in ogni caso, si declina attraverso le sue splendide architetture, gli scorci bellissimi e terribili, i panorami naturali ammantati da una luce surreale e madreperlacea: insomma attraverso la diversità che il gioco riesce a trovare quando si allontana dagli scorci cittadini e quando invece li penetra, entrando nel cuore malato di Yharnam. Il lavoro stilistico è mastodontico e vorace: fagocita le suggestioni di matrice lovecraftiana, l'iconografia dell'epoca vittoriana, le fascinazioni dell'arte gotica, per poi lasciarle a marcire in una pozza di sangue infetto, ripescandole quando sono irrimediabilmente corrotte e depravate.


E quest'ambiente perduto non può che manifestarsi attraverso un tremendo concerto di urla, di grida e di colpi sordi, per un impasto sonoro che predilige i silenzi solo perché sa quanto sia tremendo romperli con un rumore fortissimo e mortifero. Solo nel corso degli scontri coi boss l'accompagnamento musicale sale, incalza il giocatore, esaspera la sua tensione. Il doppiaggio italiano (ma potrete scegliere anche quello originale, mantenendo invece i testi adattati) è di buona fattura. Dopo qualche minuto di adattamento, ed al netto di un'odiata voce che scaturirà da una una delle porte di Yharnam, l'impegno produttivo del publisher non può che essere apprezzato. I rantoli soffocati che escono dalla bocca pestilenziale dei cittadini, ultimo afflato di consapevolezza di fronte al buio integrale della morte, sono come una litania che accompagna la spietata caccia del predatore che vi trovate a controllare: una scia di lamenti terribili che vi lascerete dietro con malcelato piacere.

Come un incubo da cui è impossibile svegliarsi, come il morbo sanguigno di cui porta il nome, Bloodborne tormenta i giocatori, li contamina e li imprigiona in un mondo annientato dal dolore. In questo viaggio disperato, durante la caccia senza vincitori che ciclicamente si rinnova alla luce di una luna rossa, non si smette mai di percepire il senso di una sconfitta integrale, del marcio che dilaga, di una tortura inflitta al cacciatore così come alle creature deformi, rotte e perdenti che si affannano a contrastarlo. E' una sensazione terribile, dolorosa, scaturita dai panorami di un immaginario perverso e disperato.
Nel rifiuto integrale del fantasy, in questa sua capacità di aggrapparsi alla mitologia di una città vittoriana e corromperla integralmente con l'odore del sangue, sta forse la più evidente grandezza di Bloodborne. La coerenza spietata con cui Miyazaki ha portato avanti la sua visione arriva poi a influire sui meccanismi di gioco, a riscrivere il sistema di classi e le meccaniche che stavano alla base della saga targata From Software, per consegnarci un titolo che sia familiare nella struttura ma nuovo nei ritmi: e insomma tutto da scoprire anche per chi si professa conoscitore esperto dei Souls.
Al netto di qualche inciampo tecnico, Bloodborne è quel capolavoro di cattiveria che il team di sviluppo aveva promesso a PlayStation 4, spietato e magnetico. Resta un titolo difficile da avvicinare per chi non abbia mai affrontato un'esperienza simile, con una progressione punitiva e a tratti frustrante: ma è così facile finire catturati dalla sua spirale di violenza e sacrificio, ed è così affascinante la sua iconografia, che suggeriremmo a tutti di fare almeno una prova.
I veterani, dismessa un'avventura densa e collosa, piena di scontri e aree memorabili, intuiranno subito che il vero potenziale di Bloodborne -lo stacco nettissimo fra questo nuovo progetto e i due Dark Souls- sta proprio nella “liturgia” dei Calici, sterminato contenuto endgame che dilata il gioco e rinnova una sfida interminabile. Sarà così che vecchi e nuovi cacciatori, contaminati dalla maledizione del sangue, si perderanno in quell'abisso scuro di dolore che è Yharnam, e nei sogni malati dei suoi abitanti, e nella promessa di una cura introvabile. Assetati, bestiali, rassegnati: tutti costretti nella spirale di una morte ciclica ed eterna, ultimo ed unico brivido di una mente pervasa da una liquida follia.

VOTO GLOBALE 9


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