E così pure l'ultimo Devil May Cry si butta nel calderone dei remake, raggiungendo tardivamente le console di nuova generazione, per altro in un mese piuttosto denso di uscite. Mentre Ninja Theory è al lavoro su Hellblade, titolo che dovrebbe mescolare le fascinazioni artistiche del tormentato Heavenly Sword con il gameplay sicuramente più interessante visto proprio su DmC, l'ultima avventura di Dante si ripresenta su disco ed in digital delivery più arzilla e tecnicamente rivisitata, fregiandosi dell'appellativo ormai comune di Definitive Edition.
Qualcuno già grida allo scandalo, ironizzando sul fatto che in un mercato in evidente crisi di idee si sia addirittura arrivati a produrre il remake del reboot. Ma intanto, l'operazione di rifinitura e aggiornamento effettuata su DmC - Devil May Cry è una di quelle di fronte a cui è impossibile restare indifferenti.
Troviamo infatti nuove modalità, un bilanciamento della difficoltà che sa essere persino più spietato, una piccola iniezione di contenuti, e soprattutto una fluidità raddoppiata rispetto a quella dell'originale. E poi il nuovo sistema di target lock, che da solo rinvigorisce -e non poco- le meccaniche di gioco. Ma non basta: memori del tempo in cui spopolavano i suoi piacchiaduro da sala, Capcom aggiunge anche una modalità “Turbo” che fa andare il gioco più veloce del 20%.
Arrivati a questo punto, con tutta probabilità saprete già se DmC Definitive Edition è un titolo che fa per voi oppure no. Se avete liquidato le ultime frasi con un semplice e laconico: “aggiunte di poco conto”, siete probabilmente fra quei giocatori a cui non interessa la purezza dell'esecuzione che spesso va a braccetto con il genere (di quelli, insomma, che non hanno mai capito l'intima perfezione del combat system di God Hand). Ma se invece siete appassionati di action game tecnici ed esagerati, se vivete a pane e Bayonetta, ma soprattutto sapete intuire il valore dei 60fps e di un incremento della velocità in un titolo come quello dei Ninja Theory, allora avrete già l'acquolina in bocca.
Partiamo dalle basi, immaginando di parlare a chi l'ultimo DmC non l'ha mai giocato. Il titolo dei Ninja Theory è uscito all'alba del 2013, proponendosi come un “irrispettoso” reboot dell'immaginario costruito da Capcom ai tempi della PlayStation 2. Ironizzando a tratti sull'iconografia classica della saga, il team inglese ci ha messo di fronte ad un Dante diverso da quello che conoscevamo, infilato in un contesto moderno e suburbano, fatto di medium con bombolette spray e demoni che estendono la loro influenza sul mondo commerciando bibite energetiche. Discoteche e graffiti si alternano alla demonologia ed alla mitologia dei cori angelici, componendo una cornice davvero suggestiva per la storia di Dante e Vergil. A monte c'è anche l'eccezionale lavoro artistico di un team che, sul fronte delle suggestioni visive, ha sempre dimostrato grandi doti.
Il mondo di DmC, quindi, è costruito sulla base di scelte stilistiche molto forti: cromatismi esagerati, scenari che scompongono quando il protagonista passa nel Limbo (dimensione sospesa a metà fra l'inferno e il mondo dei vivi), rivelando quanto ritorte, bieche e malate possano essere le aspirazioni degli uomini e le architetture -invece- dei diavoli.
A due anni di distanza dall'uscita, è proprio la componente artistica che mette una pezza sull'evidente anzianità del motore di gioco: al di là della fluidità aumentata i modelli poligonali sono a tratti imbarazzanti e certi scenari risultano molto poveri; eppure, superato l'impatto non proprio positivo di certe cut-scene, in movimento il look di DmC si fa apprezzare, proprio per via di questa sua esibita politica degli eccessi (facile da riscontrare anche nei dialoghi con gli sboccatissimi nemici, pronti a “strapparvi la testa e pisciarvi sul collo”).
Godibile e ben orchestrato anche il racconto, con un colpo di scena prevedibile ma un ritmo sempre ben scandito. Molto meno impeccabile è invece il passo dell'avventura, che ancora oggi rappresenta il limite più grosso di tutta l'esperienza. DmC, al tempo dell'uscita, aveva in parte buttato al vento i pregi di un combat system stratificato, tecnico e piacevolissimo, per la sua evidente incapacità di delineare un incedere martellante quanto i colpi di Dante. Alle fasi di combattimento, troppo spesso molto brevi e di scarso respiro, si alternavano (e si alternano ancora oggi) sequenze platform che esauriscono in pochi minuti tutto quello che hanno da dire, ed altri momenti esplorativi tutt'altro che incisivi. Un racconto invadente e troppe camminate a vuoto avevano impedito al gioco di raggiungere l'eccellenza.
E' un vero peccato che il team non abbia voluto puntare tutto sul combattimento, perché durante gli scontri DmC sa essere esplosivo, trainante, cattivo, spettacolare. Il sistema di combo, come sempre legato al ritmo della pressione dei tasti d'attacco, riprende certe idee della trilogia originale e le porta alle estreme conseguenze: qui diventa fondamentale il gioco aereo, la costanza, la capacità di variare gli attacchi. Per alternare fra armi pesanti e leggere, e per utilizzare gli artigli con cui tirare a sé i nemici, è richiesta una discreta abilità ed una buona coordinazione, soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati, in cui schivate e contrattacchi diventano un'impellenza irrinunciabile. Spesso e volentieri il gioco sprona l'utente a fare buon uso di tutte le sue risorse belliche, schierando in campo nemici di diversa foggia, che richiedono l'elaborazione di strategie d'attacco quantomeno complesse. Purtroppo però è solo in certe sfide opzionali e tra i piani del “Palazzo di Sangue” che il combat system riesce ad esaltarsi pienamente, restando invece molto costretto nelle fasi dell'avventura. DmC finì insomma, a livello strutturale, per essere un po' meno brillante di altri colleghi (chi ha detto Bayonetta? Ho sentito Ninja Gaiden 2?). Ecco: grazie all'inserimento di nuovi livelli di difficoltà e di qualche modificatore, la Definitive Edition risolve in parte la questione, rappresentando, più che un'occasione per ritornare ad affrontare le peripezie di Dante, quasi un enorme contenuto endgame per i fan.
Gli appassionati di lungo corso accoglieranno con gioia immensa il nuovo sistema di Lock manuale, interamente configurabile e molto più simile a quello dei capitoli originali. In combinazione con la fluidità “maggiorata”, adesso inchiodata a 60fps, il sistema di combattimento di DmC sembra “ringiovanire”. Grazie alle migliorie tecniche il tutto appare più reattivo, ed il massimo della soddisfazione si raggiunge attivando l'opzione Turbo. Provate a fare lo stesso livello, due volte di fila, con la velocità regolare e con quella dopata: ammesso che abbiate una buona conoscenza delle meccaniche di gioco, tornare indietro sarà davvero difficile. In versione iper-accelerata e grazie alla sua (nuova) fluidità incrollabile DmC esplode, sublima, e si toglie qualche sfizio che non sarebbe stato possibile togliersi ai tempi di “Ps360”.
Non bastassero poi gli assurdi livelli di difficoltà che è possibile sbloccare dopo il primo playthrough (in un paio di questi basta un solo colpo per uccidere Dante), il team ha aggiunto la possibilità di affrontare il gioco in modalità Hardcore, in cui -fra le altre cose- diventa molto più complesso riuscire a far salire l'indicatore dello stile. Immaginate quindi come potrebbe essere giocare il titolo attivando anche il modificatore “Must Style”, che permette di infliggere danni solamente una volta raggiunto lo “stiloso” grado S.
Si tratta di innesti che non interesseranno minimamente i giocatori occasionali, ma che sono in verità capaci - assieme al ribilanciamento generale del combattimento - di trasformare l'ultimoDevil May Cry in un vero e proprio parco giochi per gli amanti dell'azione.
Affrontare e riaffrontare gli stage scalando i livelli di difficoltà, pur accettando di dover affrontare le morbose fasi platform, significa lasciarsi trascinare in una vorticosa spirale di autoperfezionamento, e vedere gli scontri allungarsi a dismisura, fino a richiedere sequenze estenuanti di colpi, schivate, lanci aerei.
Con tutte queste opzioni e modificatori, anche il Palazzo di Sangue assume nuovo valore, vera e propria torre delle torture che metterà alla prova i più intransigenti. E pensare che nella Definitive Edition i suoi sessanta piani sono giocabili anche nei panni del fratello di Dante, “estratto” dal DLC Vergil's Downfall che pure è presente, ma che come all'epoca dell'uscita non rappresenta un contenuto molto brillante.
Il team di sviluppo ha lavorato sulla Definitive Edition di Devil May Cry proprio come si lavora alle riedizioni di un picchiaduro, sottolineando una volta di più quanto profondo fosse il gameplay del prodotto originale. Indovinati modificatori di difficoltà, una velocità aumentata del 20%, e una fluidità inchiodata ai 60fps galvanizzano l'impianto di gioco del titolo targato Capcom e Ninja Theory, e bastano a giustificare il supponente suffisso del remake.
Accettando di buon grado la presenza di una invadente componente platform, persino la storia si lascia rigiocare piacevolmente, con il Turbo attivato.
Attenti però: se cercate un'avventura ben costruita, ed un action non banale ma neppure troppo punitivo (alla maniera di un God of War, per intenderci), DmC potrebbe farvi storcere il naso, proprio per via di un avanzamento troppo spesso zoppicante e noioso. Potreste consolarvi con le buone qualità artistiche del titolo, smussate un po' dal peso degli anni ma ancora molto pronunciate.
Paradossalmente, più che ai neofiti, la Definitive Edition si rivolge però agli accaniti fan del genere. Saranno loro che, esplorando le possibilità legate ai livelli di difficoltà astrusi, ai modificatori ed alle revisioni operate sul bilanciamento, trarranno il meglio dall'impegno, sicuramente lodevole ed esemplare, del team di sviluppo. Ce ne fossero, di riedizioni così...
VOTO GLOBALE 8
0 commenti:
Posta un commento
la tua opinione è importante, dicci cosa ne pensi