The Order 1886 è un gioco come non se ne sono mai visti. E non solo perché ci investe con una poderosa esplosione di dettagli (riversando addosso al giocatore i “detriti” di oggetti mirabili e ambienti meravigliosi), e costruisce con morbosa attenzione al particolare panorami di una bellezza persino scostante. The Order 1886 è un gioco unico per la risolutezza, la forza ed il coraggio con cui inventa un mondo.
Nella storia recente del videogioco -ma forse anche di tutti gli altri media visivi- non c'è un'opera che abbia preso con altrettanto ardore l'impegno di immaginare ed esplicitare un contesto; di costruire una mitologia fieramente (e finalmente) originale: qui nel senso di nuova, ma anche di singolare ed eccentrica.
Ecco: se dovessimo catalogare in qualche maniera The Order: 1886 diremmo che si tratta di un videogioco “di fondazione”. Le sette ore che servono per giungere ai titoli di coda hanno questa capacità portentosa di incollartisi addosso, di riecheggiarti nella testa sollevando curiosità e interrogativi. Non prendetela come un artificio retorico per giustificare una durata tutt'altro che esemplare, e che anzi rappresenta uno degli spigoli più evidenti e chiacchierati della produzione. Sappiate però che The Order non si esaurisce di fronte al suo finale, schietto e brutale come un colpo di revolver, ma va oltre: deborda, e vi mette al centro di un universo finzionale da cui è impossibile scappare. Nella ritualità stanca e antica dei membri dell'ordine, nelle loro litanie sontuose, nel nero pulviscolo di carbone che paralizza una Londra alternativa al contempo esotica e familiare, si riscopre uno dei valori produttivi di cui più diciamo di sentire la mancanza: la creatività.
E' una dote che si manifesta soprattutto nella componente visiva, narrativa e acustica del titolo; insomma nel suo profilo artistico. Giacché per il resto The Order decide di aderire ad un canone ludico -quello degli sparatutto in terza persona- consumato dall'uso vorace che ne ha fatto l'industria, pur dimostrando anche in questo campo un suo carattere sicuramente fiero e deciso.
Anche per questo The Order è un gioco che vive di contrasti, attraversato dalle sue personalissime contraddizioni e difficile da additare come un prodotto totalizzante e “universale”. Per questo, e per la “faccia tosta” con cui si permette di lasciare aperte linee narrative, di non esaurire pienamente l'enorme potenziale delle sue meccaniche di gioco e quello della narrazione; di non raccontare ancora più a fondo personaggi, ambienti, nemici.
The Order è un titolo grave e sospeso: ha il peso dell'opera di fondazione e la leggerezza a tratti insostenibile di un proemio; di un avvio, di una promessa esile. Anzi: di una promessa meravigliosa.
In The Order racconto e contesto sono intrecciati e inestricabili. Il viaggio di formazione di un nuovo eroe finisce per essere a conti fatti esposizione meticolosa del mondo di gioco, enciclopedia visiva delle meraviglie di una Londra cupa e tormentata.
Nell'universo di The Order si muovono forze oscure, incarnate negli eserciti dei mezzosangue: mutanti ferini e bestiali che incalzano da secoli le roccaforti degli uomini. A strenua difesa delle città si ergono i cavalieri dell'Ordine, un corpo speciale fondato da Artù in persona i cui membri resistono attraverso le epoche grazie ai misteriosi poteri della Linfa Nera: panacea bituminosa e oscuro elisir di lunga vita, che cura ferite mortali ed estende i confini dell'esistenza.
Sul finire del diciannovesimo secolo, l'Ordine si trova a dover affrontare -oltre alla minaccia dei Lycan- persino i problemi che derivano da un'insanabile spaccatura sociale. Agendo di concerto alle autorità e nell'interesse della gloriosa Compagna delle Indie Orientali, Galahad e i suoi compagni tengono a bada le sommosse dei ribelli; finché il nostro cavaliere capisce che dietro alle agitazioni ed ai sabotaggi potrebbe nascondersi qualcosa di più.
The Order racconta allora dei sacrifici che un uomo è disposto a compiere per togliersi un dubbio lancinante, e poi per inseguire i propri ideali. La storia firmata da Ru Weerasuriya è un racconto di vendetta, di rivalsa e di libertà: ma soprattutto è il racconto delle origini di un vigilante che si trova a diventare “oscuro” quanto un altro, più moderno cavaliere. In un'epoca però in cui conta l'onore, l'apparenza, la gerarchia.
La storia di The Order è raccontata con maestria e intelligenza, con alcune brillanti soluzioni sul fronte dell'intreccio e momenti di regia più che ispirati: alterna con ritmi sempre opportuni lo stupore per uno scorcio meraviglioso, l'amore ossessivo per i dettagli, la ferocia delle scene d'azione e un paio di colpi di scena estremamente intelligenti (per quanto non sconvolgenti). Resta alla fine un racconto trottante, piacevole, mai monotono. Ma incompiuto.
Quando l'ultima inquadratura sfuma sul nero la meraviglia del giocatore si mescola con un fiotto di interrogativi ancora aperti. Indiscutibilmente, l'intento del gioco è proprio quello di instillare una curiosità avida e sproporzionata, di far capire che siamo di fronte all'incipit di un progetto più grande e programmatico. E così non sappiamo che fine fanno certi personaggi -presunte nemesi o spalle del “nuovo” Galahad- e manca quella soddisfazione piena e quel senso di sazietà propri del racconto autoconclusivo. Per quanto voluta sia questa situazione, è inevitabile avvertire un senso di vuoto che per certi giocatori potrebbe essere persino vertiginoso.
Siete quindi avvertiti: il vero “problema” di The Order non è l'estensione dell'esperienza di gioco, quanto la sua natura prettamente “inaugurale”.
Bisogna anche dire che un incipit di tal foggia è estremamente potente, bellissimo da vivere e poi - una volta lasciato sedimentare per qualche giorno - persino da riassaporare. Perché appunto lascia, oltre alle ipotesi ed alle supposizioni, anche la meraviglia per un setting magniloquente e grandioso.
Le influenze che si accatastano nella Londra di The Order delineano una fantasia poliedrica e straripante. Sull'esibita grandezza architettonica dell'epoca vittoriana, nobile e altezzosa ma al contempo incapace di nascondere le cicatrici di un inumano progresso industriale, si innestano le fascinazioni della storia alternativa: le ombre ucroniche dei dirigibili si stendono tra le nuvole di un cielo sempre opaco, e le meraviglie della tecnica costruite dal brillante Nikola Tesla diventano stravaganti marchingegni elettrici e armi rivoluzionarie.
Al di là di questo, nella Londra di The Order si riscoprono intricati rituali e mitologie riconducibili al primo ciclo arturiano, e le leggende della “Materia di Britannia” si intrecciano altrove con i miti del folklore mitteleuropeo. E poi ci sono influenze esplicite che nascono dai romanzi di Dickens, scorci che sembrano descritti dalla penna di Stevenson, depravazioni da Mr. Hyde e l'ombra dei serial killer di Whitechapel e Lambeth Marsh.
E' una serie apparentemente inesauribile di dettagli e suggestioni, quella che compone lo scenario unico e prezioso di The Order: e in questo mondo, tra i più complessi e stratificati che l'industria dell'entertainment abbia ad oggi prodotto, vale la pena immergersi senza nessun tipo di indugio.
SPARARE DI FRETTA
Ci sono molti momenti in cui The Order prende il giocatore e lo conduce per mano attraverso i suoi scenari prodigiosi, lasciandolo a tratti libero di esplorarne qualche angolo ma senza che le aree si aprano mai integralmente. Ci sono quick time event e brevissime scene d'intermezzo minimamente interattive, tutte piegate all'esigenza principale del prodotto: che è, e resta, quella di raccontare una storia con un linguaggio che sia proprio del videogioco (o meglio: del software).
The Order ha questo suo modo un po' particolare di sfruttare l'interattività tipica del medium, che in effetti riesce a far sentire il giocatore sempre partecipe e coinvolto, anche nei tratti più lineari e inquadrati della progressione.
Per chiarire una volta per tutte ciò che The Order vuole proporre, bisogna però ribadire che Ready At Dawn considera le fasi d'azione una parte paritaria -e non prioritaria- dell'esperienza di gioco. Le sparatorie hanno lo stesso spazio del racconto interattivo, e complice anche la presenza di un sistema di coperture ormai conosciuto da ogni giocatore, è facile catalogare il titolo come uno shooter un po' antico nella concezione. Se non questa voglia insistita di “render complice” l'utente,The Order non si inventa nulla di nuovo, scegliendo comunque una formula efficace e appropriata al racconto che ci presenta.
Chi non cerca innovazione, troverà fortunatamente un “gunplay” eccezionalmente caratterizzato. E anzi, oseremmo dire, uno dei migliori e più distintivi degli ultimi tempi, tenuto in piedi dall'eccezionale stravaganza delle armi da fuoco e delle loro reazioni. Il comportamento di pistole e fucili, il feeling di utilizzo dell'arsenale ed il sistema di mira rivelano uno studio attentissimo e meticoloso. Mantenendo disabilitato l'infausto Aim Assist che ammorba quasi ogni shooter moderno, The Order richiede con intransigenza una buona precisione, e poi stuzzica il giocatore con trovate esemplari sul fronte del design delle armi. La doppia esplosione del revolver “Duelist”, o ancora quella perentoria e decisa del letale “Dragon”, e poi il fuoco cadenzato e preciso delle carabine, basterebbero a convincerci della bontà della componente shooter, che si esalta ancora di più nel momento in cui si impugnano gli avveniristici progetti di Tesla. Fucili che sparano cariche elettriche, mitragliette che scombussolano gli avversari con un'onda d'urto, lanciamine e l'ormai iconico Thermite Rifle, sono solo alcune delle armi che vivacizzano costantemente l'avanzamento, rendendo fresche e piacevoli le sparatorie. Peccato che, a fronte di questo impegno, gli scontri a fuoco solo raramente abbiano il respiro che gli servirebbe. The Order avrebbe davvero potuto essere, insistendo un po' di più sulla complessità e sul ritmo degli scontri, una nuova pietra miliare del genere, e invece sembra volersi trattenere, lasciandoci fantasticare di uno sparatutto soltanto sognato in cui le situazioni siano un po' meno inquadrate e più vivaci.
Il divertimento, spesso mescolato con il trascinante entusiasmo di imbracciare una nuova arma, non viene mai meno quando si preme il grilletto, ma anche per via di un'intelligenza artificiale non sempre incalzante si sente che alla formula manca qualcosa. Per fortuna gli scontri restano moderatamente impegnativi, a volte anche impietosi, e soprattutto a livello di difficoltà più alto finiscono per galvanizzare il giocatore (e sì: estendere un poco la durata complessiva del gioco).
Al di là di queste considerazioni, anche sul fronte del gameplay gli entusiasmi vengono smussati da qualche boccone amaro. Ci sono ad esempio delle fasi stealth inizialmente troppo inquadrate, che solo sul finale (grazie all'arrivo di una letale e silenziosa balestra) conquistano piena dignità, e ancora scontri con i Lycan un po' goffi (per altro: non ci avevano promesso diverse tipologie di mezzo-sangue?). C'è, proprio sul finale, una boss fight riciclata da una fase precedente dell'avventura, che è davvero difficile da mandare giù, per quanto poi il team abbia saputo introdurla e concluderla nel migliore dei modi. Ma anche in questi casi il problema è lo stesso di cui dicevamo sopra: sono sempre il contesto, il colpo d'occhio e la storia che rimediano alla “flemma” con cui si sviluppano e prendono piede le meccaniche di gioco, o -contrariamente- alla “fretta” con cui vengono liquidate. Sarebbe stato bello (anzi: per molti utenti sarebbe stato necessario) avere delle fasi di gioco più articolate, più tipologie di nemici, un'interattività ambientale che non fosse soltanto estetica ma anche funzionale. Sarebbe stato, ancora, rispettoso nei confronti di un gunplay solidissimo e molto personale, e avrebbe smussato buona parte dei malcontenti che relativamente a The Order sono nati e nasceranno. Evidentemente si è pagato, per questo primo capitolo, il costo di un processo produttivo titanico e monumentale. Per chi riesce a guardare la visione d'insieme, forse, non è un prezzo poi così alto.
PARTICOLARI UNIVERSALI
Per parlare della componente tecnica di The Order bisogna necessariamente parlare per assoluti. Il titolo Ready At Dawn segna l'ingresso in una nuova fase di questa generazione, spazzando via d'un colpo tutto quello che finora si è visto in ambito console. La pietra angolare che regge tutto l'impianto visivo è rappresentata da un'attenzione ai dettagli che sulle prime è facile considerare morbosa: l'ossessione con cui il team di sviluppo ha disposto bottoni, fregi e mostrine sulle divise dei membri dell'ordine, e poi l'incredibile attenzione con cui sono modellati marchingegni e armi, vengono costantemente sbattute in faccia al giocatore: che sia per via di una regia attentissima ad inquadrare i protagonisti oppure per la frequenza con cui, nelle mani di Galahad, finiscono i rifinitissimi modelli di balestre e fucili, pronti ad essere scrutati da ogni parte. In queste sequenze timidamente interattive i più maliziosi hanno voluto leggere il segno di un'opprimente inconsistenza ludica, senza capire che si tratta in verità di una precisa presa di coscienza degli strumenti comunicativi del medium. Ready At Dawn ribadisce che la specificità del videogioco è proprio quella di dare ai suoi utenti degli oggetti e degli ambienti che possano essere osservati in maniera dinamica, seguendo le voglie e le curiosità di chi stringe il pad, adattandosi ai suoi ritmi e stimolando un incanto profondamente diverso da quello dei film. The Order usa, è chiaro, tecniche e strategie narrative che arrivano direttamente dai registri espressivi di Hollywood, ma si ritaglia anche spazi che sanno essere -indiscutibilmente ed esplicitamente- propri del videogame.
Lo fa anche in virtù del lavoro monumentale sulla modellazione poligonale (incrinato soltanto dalle forme più “spigolose” dei nemici), che si manifesta non solo attraverso i volti espressivi dei Cavalieri e le loro vesti trascinate nei secoli: ma anche e soprattutto negli ambienti, traboccanti, che confortano il giocatore rigurgitando su schermo una mole spropositata di oggetti, minuterie, particolari. Nei momenti in cui pure il motore fisico si sveglia -strappando “le cose” da quell'immobilismo un po' stantio che pure in certe stanze si respira- oppure quando il campo visivo si allunga, senza timidezza, e arriva ad abbracciare vedute totalizzanti di Londra o totemici edifici in fiamme: ecco, in quei momenti il gioco, già oltre la soglia della “next-gen”, fa un ulteriore salto in avanti, energico e deciso.
Non è solo la qualità delle texture che determina il prodigio grafico di The Order, ma anche un'illuminazione integralmente dinamica; che mette i brividi, rivendicando un ruolo prioritario nella costruzione delle atmosfere del gioco. Che sia l'alba sui moli della Compagnia delle Indie, o la notte che si estende tetra nei giardini silenziosi e quieti, o ancora la luce che tenta di penetrare la nebbia fuligginosa di Whitechapel, il lavoro sulle fonti di luce è semplicemente portentoso.
Pulito e fluido, The Order ha davvero pochi dettagli fuori posto. Forse un blur un po' troppo invadente, poca cosa di fronte alla solenne meraviglia dei particolari. In un mondo così, a nessuno che sappia ancora emozionarsi viene davvero voglia di correre.
La componente acustica è in parte macchiata dal doppiaggio italiano, di certo ottimamente recitato ma con inflessioni un po' caricaturali. E' la voce del protagonista quella che convince di meno, sebbene alla fine dell'avventura le sillabe aspre e rauche finiscano per lasciarsi ascoltare. Impietoso è però il confronto con il doppiaggio originale, quello sì davvero eccezionale negli accenti e nell'intonazione. Per fortuna oltre ad un quadro sonoro sempre ricco e pulito, The Order ammalia con brani d'accompagnamento puntualissimi nel valorizzare ogni sequenza. Sulle note allungate e tetre del tema principale sembra correre quel senso di scacco sociale che paralizza Londra, o gli stessi contrasti fra la solennità dell'Ordine e la sua mortale impostazione gerarchica. Le tracce sanno anche farsi trottanti, accese, o magari lugubri e trattenute quando si esplorano, coi nervi a fior di pelle, i sotterranei di ospedali abbandonati e i tunnel della metropolitana. I brani sono maestosi quando serve e in altri momenti dimessi e toccanti. Manca quel guizzo autoriale che c'era nei riff di The Last of Us, ma non ci siamo troppo lontani.
Come videogiocatori, e come critici, siamo chiamati tra le altre cose a scegliere che tipo di mercato vogliamo. The Order: 1886 è uno di quei prodotti di cui non faremmo a meno nel nostro futuro, e che oggi siamo fieri di aver giocato.
Lo sparatutto di Ready At Dawn non è un titolo “universale”, una di quelle avventure imprescindibili e assolute: da una parte perché recupera un canone a tratti stanco, dall'altra perché il suo votarsi anima e corpo al racconto finisce per togliere un po' di spazio alle sequenze d'azione, che avrebbero avuto bisogno di più respiro e di tempi più distesi.
Che non sempre l'insieme sia pari alla somma delle parti, tuttavia, è un fatto noto, e The Order lo ribadisce con la forza immaginativa che lo attraversa. L'operazione creativa alla base del gioco si distingue per coerenza e coesione, assemblando un mondo di una bellezza statuaria e monumentale. L'ottocento alternativo in cui ci muoviamo trabocca di influenze e fascinazioni, sfoga in un mare di dettagli questo suo potenziale smisurato, e prorompe su schermo con alcuni degli scorci più seducenti e inebrianti che questa giovane generazione ci abbia regalato.
L'immaginario costruito dal team fagocita la penna dei grandi romanzieri vittoriani e le leggende del ciclo arturiano, i licantropi e gli esperimenti di Tesla, ma ci presenta soprattutto personaggi ben scritti, una storia suggestiva e ben raccontata, e si presenta quindi come una delle opere di fondazione più imponenti che il nostro medium abbia mai conosciuto.
The Order è però un gioco che si "limita" a dare l'avvio a quella che sarà con tutta probabilità una grande saga, senza prendersi il tempo per chiudere qualche linea narrativa in più, o per sviluppare meglio certe situazioni: che insomma dal punto di vista delle meccaniche di gioco restano non tanto “abbozzate”, ma sicuramente tutt'altro che esaurite.
Alla fine della condensata avventura ci si trova a chiedere qualcosa in più, pervasi da una curiosità struggente, al contempo positiva e dolorosa.
L'inclinazione - anzi il valore che ciascuno di noi vorrà dare a questo sentimento, è un fatto intimo e personale. Di contro, quello che assume la chimerica invenzione di Ready At Dawn, nel panorama videoludico attuale, è straordinario e incalcolabile.
VOTO GLOBALE 8
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