lunedì 10 febbraio 2020

DREAMS PER PLAYSTATION 4: LE AMBIZIONI CREATIVE DI MEDIA MOLECULE




La prima volta che ho intervistato Kareem Ettouney, art director di Media Molecule nonché co-fondatore del team di Guildford, quasi non ho avuto bisogno di fare domande. Mi ricordo che aveva le mani sporche di gesso, tracciava schizzi stilizzati su una lavagna, in una delle piccole salette ricreative allestite per permettere ai dipendenti di rilassarsi. Lo salutai, gli chiesi come mai avrei dovuto avvicinarmi a Dreams, e lui mi investì con un discorso-fiume che parlava di inventiva, di educazione alla produzione artistica, di fantasia e blocchi mentali. Rimasi ad ascoltarlo per lunghi minuti, ammaliato dalla lucidità e dalla passione che animavano il suo discorso. L'ho rincontrato poco più di due anni dopo. E ho pensato di ripetere lo stesso esperimento: ho acceso il microfono, e gli ho chiesto di parlare a ruota libera degli obiettivi di Dreams, del posto che vorrebbe avere nel mondo dei videogiochi, e di quanto sia importante la sua diversità. Quella che state per leggere è la trascrizione integrale del suo intervento.


"Quando abbiamo fondato Media Molecule, ci siamo dati l'obiettivo di di sviluppare giochi che fossero creativi nel senso più pieno della parola, giochi che permettessero di esprimere e concretizzare la creatività di ciascuno di noi. Realizzare questo obiettivo - l'abbiamo capito immediatamente - non sarebbe stato facile, semplicemente perché le console non erano pensate per assolvere a quella funzione.




Le console erano oggetti unicamente dedicati all'entertainment. Il loro compito era quello di trasformarti in qualcun altro: entravi nei mondi che qualcuno aveva creato per te, ti lasciavi cullare dalla sospensione dell'incredulità, ed eri un supereroe, un marine, un pilota provetto. Era un modo per evadere dalla tua vita.
C'erano, soprattutto ai tempi del Commodore, alcuni strumenti concessi ai più intraprendenti, a chi voleva sviluppare il proprio software, ma si trattava di confrontarsi con un linguaggio di programmazione, di apprendere regole e sintassi. Noi invece abbiamo sempre pensato ad un processo di creazione molto più intimo, istintivo, viscerale; pensate a chi da piccolo rimane incantato da un musicista e decide di chiedere una chitarra ai suoi genitori, a chi ammira i movimenti di un ballerino e sente il desiderio di ballare: volevamo dedicare i nostri progetti a queste persone. E del resto il punto arti espressive non è sempre e solo il risultato, alle volte l'atto creativo basta a sé stesso.

Quello che abbiamo cercato di fare, allora, è trasferire le aspettative ludiche di un videogioco all'interno di un tool creativo. Quando compri un videogioco ti immagini di poter premere un tasto e di iniziare a volare, di fare un movimento con una mano e di spostare intere montagne: immaginare di replicare l'esaltazione di queste azioni grazie ad uno strumento di design, metterla al centro di un software compositivo, questo è stato il nostro obiettivo. Dreams esiste proprio in quell'interregno fra il potere del gioco e le ragioni dell'invenzione, tra lo svago e il colpo d'ingegno.

Crediamo di essere riusciti nell'intento, di aver realizzato un prodotto che esalta l'atto creativo, lo rende morbido, e sinuoso, e piacevole, e magnetico. È un aspetto importante perché solo così possiamo sperare di rompere i tabù che ancora oggi la società ha nei confronti dell'espressività artistica.


Sappiate che sono più radicati di quanto si pensi: per esempio ogni volta che parlo di Dreams con qualcuno, ogni volta che chiedo di provarlo a chi non lo conosce, la prima cosa che mi sento dire è sempre la solita: "non sono molto creativo, non mi sento un artista".

La società odierna, in questo ambito, assegna delle etichette incredibilmente difficili da sovvertire: o sei nato creativo, oppure non hai speranza di esserlo. Ma è una sciocchezza. Pensateci bene: nessuno lo fa con il linguaggio. Imparare una lingua non è più facile che imparare a dipingere o a suonare: devi prima comprendere la grammatica, le strutture sintattiche, poi allargare pian piano il tuo vocabolario, e far pratica, e poi magari imparare i modi di dire, le figure retoriche.


Eppure nessuno si sogna di dire a qualcun altro che "non è portato per la lingua, e quindi non merita di parlare o di esprimersi". Per qualche strano motivo, invece, l'arte è diversa, è riservata ai privilegiati. Con Dreams vogliamo disinnescare questa impostazione mentale, rendere la creazione un processo più democratico.

Ovviamente democratizzare la creatività significa anche rendere più accessibili gli strumenti necessari a dar forma alle proprie idee. Anche questo è un passaggio importante: avete mai visto un animatore 3D in azione? Non c'è nulla di bello o di poetico o di anche solo minimamente comprensibile in quel processo, per chi non abbia delle nozioni estremamente specifiche.



Alle volte si tratta solo di lavorare su tabelle piene di variabili, prima di poter vedere per qualche istante il risultato del proprio lavoro. Pochi secondi in cui un modello si muove, compie l'azione che abbiamo programmato, e poi si ferma, imponendoci di tornare in quell'universo fatto solo di numeri, funzioni e matematica. Quale dovrebbe essere l'attrattiva di un'operazione di questo genere? Se vi capita invece di vedere qualcuno che lavora su Dreams, magari durante uno streaming, avrete sempre la piena comprensione di tutto quello che sta facendo: come realizza i modelli, come li sposta, come ne altera dimensioni e colori. Non è solamente un atto piacevole da eseguire, ma anche da guardare, e per questo speriamo che poco a poco gli utenti si convincano a provare. Questo stimolo non può nascere da un'operazione noiosa e repulsiva.
Insomma, spero di averti spiegato il traguardo che speriamo di raggiungere. Trasformare le console in strumenti espressivi alla portata di tutti.

Spero che il nostro software possa essere, anche da solo, un valido motivo per acquistare l'hardware, che proprio grazie a Dreams assume ruoli e funzioni diverse da quelle per cui è nato.


Un giorno, chissà, lo studio di un grande architetto potrebbe decidere di comprare qualche PlayStation per avere uno spazio virtuale in cui creare i propri progetti e visualizzarli come bozzetti tridimensionali, oppure una scuola potrebbe voler usare l'hardware di Sony come fonte inesauribile di scenari, di ricostruzioni storiche o di mondi letterari ricreati digitalmente. Il software è un media estremamente plastico, e sarebbe bellissimo poter contribuire ad intrecciare formazione, design e gioco. O, per meglio dire: sarebbe un Sogno."

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