mercoledì 20 novembre 2013

Tearaway (ps vita) - Recensione

Tearaway - PS Vita

Quando avevo più o meno sei anni, il primo giorno di dicembre
 mi compravano una risma di fogli colorati. Per tutto il mese,
 con mamma e babbo seguivamo le istruzioni precise dei manuali
 di origami e, perduti in un labirinto di pieghe a valle e “basi 
della gru”, arricciavamo con la carta figure di ogni tipo. Scatoline
 cinesi, insetti, grossi mammiferi; geometrie stellate e rane 
salterine. Dopo, con ago e filo facevamo su tutti gli origami 
un piccolo cappio, e li attaccavamo sull'albero di natale. Mio
 padre era l'unico che sapeva fare le formiche.
Poi succede che le stagioni della vita passano, e ormai non
 faccio più neanche l'albero. Figurarsi se ho il tempo di fare 
gli origami.
Oggi, prima di finire Tearaway, mi sono preso due ore libere 
per fare una zucca di carta. Ho stampato il papercraft trovato
 in un livello del gioco, l'ho ritagliato, l'ho assemblato fra le
 forbici e la Pritt. Adesso lo schermo della PsVita è tutto sporco
 di colla.
E insomma mi sono ricordato di quando piegavo le rane di 
carta coi miei genitori. Sarà per questo che nel finale del gioco
 io ho letto un insegnamento fortissimo sulla separazione,
 sulla vita che va avanti e su quanto sia importate plasmare 
la propria esistenza in modo che possa lasciare un segno, 
ispirare qualcuno: in modo che possa trasformarsi in un
 messaggio.
E' andata a finire che ho pianto, e non succedeva da un po'.
 Poi, devo dire, ho anche pensato di tenermi tutto dentro, 
vivere il momento, asciugare le lacrime e fare una di quelle 
introduzioni “di mestiere”, coi paroloni sui massimi sistemi 
del videogioco e sulla creatività. Però Tearaway mi ha anche
 insegnato che gli attimi di formazione, quegli istanti in cui
 si svelano le minuscole verità quotidiane e quelle grandi sul
senso delle cose, sono importanti solo se riusciamo a
 condividerli.
E allora ho pensato che, per una volta, avrei potuto cominciare
 tutto con la mia Storia.


Immaginate un mondo fatto di carta. Tutto composto di ritagli
 e pieghe, di fogli fogliolini cartacce, di scatole e coriandoli: 
questo è il mondo di Tearaway. Non sappiamo esattamente 
quale sia la strana magia artigianale che ha permesso al team 
di creare un universo così vibrante ed espressivo a partire da
 forme tanto semplici, con riccioli agli angoli delle pagine e poco
 più. Eppure il risultato si apre davanti ai nostri occhi, celebrando
 l'inventiva inesauribile degli artisti di Media Molecule.
Dovevamo aspettarcelo, dopo le meraviglie di Little Big Planet:
anche lì era tutto un brulicare di sagome, chincaglierie nascoste
 per chissà quanto tempo in soffitta, spugne e stencil colorati.
 Qui, invece, le architetture appaiono sotto i nostri occhi come 
quelle di un libro Pop-Up, e tutt'intorno guizzano papercraft,
giornali e origami. Colorato con tinte delicate, slavato, ruvido
 come i fogli di carta riciclata, questo piccolo universo è pieno
 di panorami in cui perdersi. Che siano i colori ancora vividi del 
Frutteto Festoso, o le distese innevate del minaccioso Colle 
Forca, o ancora le tinte gialle del grano maturo che si stendono 
nei Campi Calendimaggio, Tearaway svela una meraviglia che
sembra non avere fine. Proseguendo per i sentieri che dovrebbero
 condurci verso il sole -in verità uno squarcio aperto fra il mondo
di Iota e quello reale, da cui il popolo di carta vede la faccia del
 giocatore- si scoprono costruzioni sempre più complesse, intricate e bellissime.
Il fascino del viaggio di Iota, insomma, sta anche nei mondi che 
gradualmente scopriamo. L'estro visionario del team riesce a 
trasfigurare oggetti semplicissimi: finiti nelle profondità della 
terra troviamo strane creature che si spaventano al nostro passaggio, ritraendo strisce di carta variopintecome fossero anemoni appena 
sfiorate. La cascate non sono altro che trucioli di cartone, e i 
detriti delle frane bucano il terreno come forerebbero una pagina.

Con incrollabile costanza Tearaway dispensa insomma le sue
 meraviglie, impastando tutto con suoni particolari e ricercati. 
Sono spesso i silenzi, quelli che regnano, in modo che si possa
 sentire il tappeto di flebili fruscii, il crepitare dei fogli che si 
accartocciano o il sibilo delle pagine che si aprono e si chiudono.
 Ma anche quando il tessuto musicale si fa più ricco sembra di
 essere di fronte ad un concerto sinfonico di trombette, ad 
un'improvvisazione jazz fatta con le lingue di Menelik. I temi 
dimessi eppure avvolgenti, ben ritmati, mostrano lo stesso
 intimo segreto delle scenografie: sono composti da elementi
 poveri, semplici, forse persino un po' sguaiati e senza garbo. 
Ma, rinvigoriti dal contesto e dalla perfetta consonanza con 
tutto quello che hanno intorno, suonano in maniera semplicemente eccezionale.

Tearaway è un platform tridimensionale dai ritmi pacati, concentrato
 più sull'esplorazione che sull'azione. Le prime fasi di gioco 
esibiscono le soluzioni creative con cui il team intende allontanare
 questo piccolo capolavoro dalla tradizione. Si scopre, quindi, che 
Tearaway sfrutta massicciamente tutte le caratteristiche di una 
console che si tiene stretta in mano come fosse un libricino e si 
tocca da ogni parte. Quando vediamo una superficie increspata,
 più fragile delle altre, sappiamo ad esempio di poterla sfondare 
con il nostro dito, che -posizionato sul touchpad retrostante- 
spunta totemico nel mondo di gioco. Si tratta solo dei primi, timidi 
approcci di un titolo che fino alla fine continuerà ad aggiungere 
elementi alla sua formula, scuotendo alla base un gameplay semplice
 ma davvero inesauribile. Non passa molto tempo, ad esempio, 
perchè si trovino in giro delle superfici tese, che permettono di far
 saltare Iota tamburellando sul touchpad posteriore. Soluzioni di 
questo tipo, in apparenza molto basilari, si intrecciano invece in 
un level design che non sta mai fermo, e disegna un numero 
impressionante di percorsi e variazioni. Nel suo svolgimento, 
in fondo, Tearaway non è un titolo originale: come tanti congeneri
 punta tutto sul tempismo, sulle piattaforme semoventi, su pochi 
oggetti con cui interagire. Ma sono le combinazioni degli elementi
 di base che sfociano in soluzioni sempre ardite, arrembanti, curiose.
 Nel corso di tutta l'avventura è davvero difficile trovare momenti di 
stanca, se non gli scontri con le “Cartacce” che ben presto tendono 
a diventare un mero esercizio di tempismo: sul fronte prettamente
 “platform” Tearaway è invece un concentrato di idee brillanti, che 
sfrutta in maniera esemplare il suo mondo “pieghevole e 
accartocciabile”.
Così come gli ambienti che ci troviamo ad esplorare, anche il 
gameplay sembra costruirsi poco a poco. Nei primi momenti Iota 
non ha neppure la forza di saltare, ma impara ad “usare il tasto
 X” dopo una scena in cui le pelli di tamburo, stuzzicate dai 
nostri polpastrelli, lo mandano su per aria. Più avanti, rotolando
 fra gli ingranaggi di un vecchio mulino, il nostro protagonista 
imparerà ad appallottolarsi, per infilarsi nei buchi più impensati 
o sbalzare le cartacce che lo bombardano dall'alto di un paio di 
trampoli. Ancora oltre scoprirete scie di colla che vi permetteranno
 di camminare sulle pareti, e imparerete ad utilizzare una 
fisarmonica bucata. Persino negli ultimi scampoli dell'avventura 
si 
aggiungeranno nuovi elementi, combinandosi armoniosamente
 coi precedenti per colorare ogni istante del vostro viaggio.


In questo contesto, dedicarsi alla ricerca dei molti collectible
 si trasforma ben presto nell'urgenza di un videogiocatore
 entusiasmato dalle mille trovate del titolo. Quando gli scenari 
si fanno più aperti, ad esempio, si moltiplicano gli angoli segreti
 e le zone nascoste, dove fare incetta di coriandoli: questi 
servono poi ad acquistare decorazioni con cui personalizzare il 
protagonista o, a volte, gli elementi di gioco. Gli strani personaggi
 che popolano il mondo di Tearaway ci chiedono di tanto in tanto 
di appiccicargli addosso adesivi e toppe, per renderli ora più 
spaventosi ora più eleganti. In certi casi dovremo invece ritagliare
 alcuni oggetti su dei fogli colorati, per costruire zucche, corone,
 stelle. Tratteggiando forme semplici con l'uso del touchscreen
 potremo dar sfogo alla nostra creatività, e vedere come il 
mondo cambierà sulla base delle nostre prodezze artistiche. 
Il grigio Colle Forca potrebbe essere ravvivato da una nevicata 
di cristalli dalle venature porpora, o da una pioggia di foglie
ancora verdi, a seconda di quello che avrete disegnato.
Consegnarvi questi ambienti malleabili, in qualche modo plasmati
 anche dal vostro passaggio, è un altro degli spericolati virtuosismi
 di Tearaway.

L'aspetto però più importante del titolo Media Molecule è però il 
suo esibito contenuto meta-ludico, la sua insistenza sul rapporto
 che c'è fra il nostro mondo e quello di Iota. Il dialogo continuo fra
 gioco e realtà prosegue a più livelli: ad esempio quando con la
 fotocamera si devono cercare delle “texture” per ricoprire elementi
 dello scenario, o ogni volta che il gioco invia, sul sito Tearaway.me,
 lo schema di un papercraft con cui costruire i personaggi e gli 
oggetti che abbiamo appena fotografato.
La prima cosa che vedrete una volta avviato il gioco, del resto, 
sarete voi stessi. La vostra faccia immensa se ne sta nel bel 
mezzo di un sole che è in verità uno squarcio aperto nel cielo di 
carta. Tralasciando il fatto che ogni volta che sarete inquadrati 
sarà davvero difficile trattenere uno di quei sorrisi genuini che
 fanno bene al cuore, la premessa di Tearaway è proprio questa:
 bucando il sole, avete messo in comunicazione il gioco e la realtà.
Su questa idea si costruiscono non solo le trovate bellissime di
 cui si è appena detto, ma anche il messaggio che Iota smania
 per consegnarvi.


Fra i colori e le atmosfere spensierate di Tearaway si 
nasconde un gioco che ragiona con apparente leggerezza
 di cose smisurate, diluendo proprio nelle ultime fasi 
dell'avventura alcune di quelle verità che ti accompagnano
 per sempre. Che vogliate raccogliere “il messaggio” come 
un monito per rendere più pieno ogni vostro giorno, oppure 
come una sciocchezza da dimenticarsi in una tasca (non si 
sa mai che salti fuori dopo anni), la speranza di chi scrive
 è che cerchiate almeno il modo di incontrare Iota per farvelo
 raccontare. Davvero: non ci sarà cosa più bella che avere 
l'opportunità di condividerlo.

Dopo i titoli di coda di Tearaway cala il silenzio.
E non solo nella stanza.
Seguendo il sentiero tracciato da Media Molecule, attraverso
 campi ambrati e deserti invasi dalla luce abbacinante del 
sole, il giocatore viene rapito dalla bellezza di scenografie 
costruite pezzo dopo pezzo, con ritagli di giornali, e povere 
cose, e fogli accartocciati.
Divertito dalla scoperta di tutti i colpi di testa del team, 
viene poi costantemente incalzato da un gameplay che quasi
 non lascia respiro, si reinventa costantemente, guizza e 
balza e si inerpica attorno a tutti gli angoli e le superfici di
PsVita.
Quando si accorge dell'incantesimo, è già troppo tardi: il 
gioco è ormai fuori dalla console, e lui c'è dentro. Sul tavolo
 c'è il papercraft di uno scoiattolo; nel mondo di Tearaway ci 
sono le forme che lui ha disegnato e, appiccicate alle pareti, 
le foto improbabili che si è scattato di tanto in tanto.
Tearaway è un capolavoro proprio perchè trasforma una 
console nel ponte attraverso cui comunicano due entità creative, 
in un foglio sottile che separa due mondi. Ma, quello che 
conta ancora di più, è che su questo foglio ci sono scritte
parole smisurate con una semplicità universale.

VOTO GLOBALE 9

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