Killzone Mercenaries ha il compito non facile di traghettare PsVita in un 2014 che sarà l'ultimo banco di prova della portatile Sony. Le produzioni esplicitamente dedicate all'hardware si contano sulle dita di una mano (nel prossimo anno solare si intravede solo l'eccezionale Murasaki Baby ed il meno entusiasmante Big Fest), e Vita dovrà dimostrare di poter “campare” soprattutto grazie alla marea di titoli indie che arriveranno in contemporanea sul suo touchscreen e sulle piattaforme casalinghe. Sappiamo bene che The Binding of Isaac e Hotline Miami 2 sono pezzi grossi, ma è innegabile che i possessori della console “da tasca” si aspettassero qualcosa di più.
Mentre ci si chiede se possa il Remote Play con Ps4 far risalire l'appetibilità e le vendite di Vita, intanto, quest'anno si chiude in bellezza con due grossi calibri.
Che la star principale sia Tearaway di Media Molecule sembra davvero fuor di dubbio, ma anche ilKillzone Mercenary di Guerrilla Cambridge ha le carte per far bene, e smuovere quantomeno le acque.
Fin da quando l'abbiamo provato, il titolo si è distinto come una bruta dimostrazione di potenza tecnica. E del resto la saga di First Person Shooter che fu di Guerrilla non è sempre stata anche questo? Una sorta di benchmark, un prodotto di riferimento: la prodigiosa esaltazione delle potenzialità grafiche di un determinato hardware. Con Killzone Mercenary, PlayStation Vita riafferma la superiorità delle sue specifiche, superando con un sol guizzo il magnifico Uncharted Golden Abyss e l'asettico Wipeout, e lasciando letteralmente a bocca aperta per quantità poligonale, definizione delle texture, dettagli e atmosfera.
Peccato che poi il titolo sembri quasi tirarsi indietro, nascondendosi dietro una progressione usuale e prevedibile. Questo Killzone propone una gamma di situazioni talmente standardizzate che non riesce ad entusiasmare, e nonostante un control scheme competente ed uno svolgimento regolare e competente, la sensazione resta quella di trovarsi di fronte ad uno sparatutto abbastanza ordinario.
Lo story mode di Killzone Mercenary ci mette nei panni di Arran Denner, soldato che presta i suoi servizi al miglior offerente. La trama procede parallelamente a quella del secondo capitolo, culminando proprio con l'esplosione nucleare che ha raso a suolo la capitale di Helghan. Il plot resta tuttavia totalmente indipendente da quello della serie regolare: schiera nuovi personaggi che non superano indenni questa parentesi narrativa, e cerca solo marginalmente di esplorare nuovi aspetti del mondo di gioco e del conflitto fra ISA ed Helghan.
Le nove missioni della main quest, introdotte da briefing piuttosto poveri, raccontano una storia già vista, attentissima ad esaltare l'etica mercenaria già pubblicizzata dal titolo. Fra improvvisi cambi di schieramento, tradimenti, ed una marcata ossessione per il tornaconto personale, le vicende scorrono via in maniera prevedibile, con tanto di epico scontro finale e conclusione buonista ma amarognola. La retorica bellica di Mercenary, purtroppo, è decisamente stanca, sicuramente meno affascinante rispetto a quella degli episodi per console casalinga.
Scesi in campo, invece, si scopre un gameplay che sembra decisamente più reattivo di quello del terzo episodio. Il control scheme si adagia perfettamente sulla dotazione di pulsanti di PsVita, lasciando che il touchscreen venga utilizzato solo per cambiare arma, selezionare le granate, oppure attivare il sistema Vanguard: un drone che può essere equipaggiato con i moduli più disparati per svolgere varie funzioni. Il doppio stick analogico permette di muoverci rapidamente nell'ambientazione, mentre lo sprint si effettua con lo stesso tasto con cui ci si accuccia (a seconda che venga premuto in corsa o da fermo). E' anche possibile eseguire una scivolata per entrare automaticamente in copertura, ma il sistema un po' impacciato degli episodi per Home Console svanisce, per una gestione un po' più naturale, che prevede solo la possibilità di sporgersi in alto e non lateralmente. I movimenti dell'avatar, in ogni caso, sembrano meno costretti, e l'avanzamento segue dei ritmi più vivaci.
Al di là del feeling meno “pesante” (che crediamo fortemente adatto al mercato portatile), Killzone Mercenary si comporta come uno Shooter classico, anche se stavolta le nostre azioni sono ricompensate con denaro sonante. Un colpo alla testa, un'uccisione corpo a corpo, un assassinio silenzioso: tutto serve a rimpinguare il nostro portafoglio virtuale. L'accumulo di bel gruzzoletto è funzionale al gameplay, e di fatto rappresenta il cardine attorno a cui si impernia tutta l'esperienza di gioco. Prima di ogni missione e in appositi punti del livello, è possibile connettersi con i distributori di un mercante d'armi per cambiare integralmente la nostra dotazione bellica.
Killzone Mercenary punta tutto sulla libertà d'approccio, garantendo la possibilità di avanzare a testa bassa, oppure in maniera più silenziosa e letale, mantenendo un basso profilo. Tutto parte dalla scelta dell'armatura: un corpetto pesante che resiste ai colpi ma riduce la mobilità, oppure una tuta leggera che permette di muoversi senza fare rumore? Anche la selezione di armi è bella ampia: ci sono mitragliette silenziate, fucili da cecchino, oppure canne mozze con proiettili incendiari: un ampio spettro di soluzioni che soddisfa proprio tutti.
Persino il sistema Vanguard può cambiare totalmente le sue funzioni a seconda del modulo inserito. C'è ad esempio il letale “Porcupine”, che permette di sparare, con un semplice tap sullo schermo, dei missili a ricerca che mandano all'aria interi drappelli, oppure un drone che emana una carica elettrica e frigge tutti i nemici che si avvicinano. Per approcci più discreti, ci sono invece droni pilotabili che possono uccidere istantaneamente un nemico se lo raggiungono alle spalle, ma sono fragilissimi e non sopportano neppure un colpo. Non mancano poi scudi energetici in grado di resistere ai proiettili o mimetiche ottiche per infiltrazioni.
La conformazione dei livelli cerca di stimolare il giocatore a sperimentare soluzioni sempre nuove, proponendo strade alternative da seguire, e stanze che possono essere attraversate sia ad armi spianate che tenendo un basso profilo.
E' proprio questo aspetto che salva lo story mode dall'anonimato quasi integrale. Portare a termine la campagna è questione di cinque ore o poco più, e dovessimo giudicare Killzone Mercenary dal primo Playthrough non ci faremmo scrupoli a dire di essere rimasti abbastanza delusi. Per fortuna oltre alla possibilità di tentare l'impresa con tre diversi livelli di difficoltà, tutte le missioni possono essere rigiocate con degli obiettivi secondari, catalogati nelle categorie di Precisione, Infiltrazione e Assalto. I compiti richiesti vanno dal passare totalmente inosservati per intere sezioni dello stage a realizzare uccisioni multiple con esplosivi di ogni genere. Oltre a risultare in una sfida decisamente interessante, questi obiettivi spingono il giocatore a sperimentare varie bocche da fuoco, collezionando quindi tutto l'arsenale a disposizione. L'impresa non è facile, e per guadagnare il denaro necessario bisogna faticare parecchio, giocare e rigiocare intere missioni, mentre si memorizzano i pattern dei nemici e le planimetrie dei livelli.
E' così che si scopre che l'avanzamento, in Killzone Mercenary, può variare davvero moltissimo. Giocandolo come un FPS qualunque, con granate e fucile d'assalto, il titolo riesce persino ad annoiare nelle fasi finali. Quando invece ci propone sfide più strutturate le cose migliorano, e non poco. S'intenda: il gioco resta ancora lontano dall'eccellenza, e non fa miracoli, ma almeno rappresenta un passatempo piacevole per partite rapide e focalizzate.
L'approccio “” resta il più consigliato: giocare con troppa regolarità potrebbe far emergere più rapidamente i difetti di Mercenary: oltre ad un gameplay ordinario e regolare, fra essi bisogna annoverare l'Intelligenza Artificiale dei nemici, alle volte abbastanza goffa e disastrosa. Gli Helghast recuperano grazie ad un potenziale offensivo notevole, che costringe ad un approccio cauto, ma non possiamo dire che gli avversari siano tatticamente preparati.
Il comparto tecnico lascia invece entusiasti. Gli stage di Killzone Mercenary sono davvero eccezionali, e le sequenze iniziali di alcune missioni mostrano scorci di una bellezza allucinante.
La trasvolata sul porto di Phyrrus, lungo i canali che circondano l'ambasciata terrestre, o la disca in glide suit mentre le sagome delle astronavi orbitali vengono lacerate dalle esplosioni dei cannoni ad arco. E ancora l'attracco su di un enorme incrociatore in volo, l'assalto alle raffinerie di Petrusite: certe scene sono un tripudio di dettagli, guglie metalliche, massicci rocciosi.
La struttura dei livelli non è da meno: l'enorme estensione di certi ambienti lascia veramente impressionati, soprattutto quando lo sguardo si posa poi sulle vertiginose aperture che inquadrano imponenti edifici o bellissime architetture naturali. Se c'è un merito che si deve dare a Guerrilla Cambridge è quello di aver sfruttato al meglio l'immaginario costruito negli anni dalla saga.
Si nota il pop-up di alcune texture, che sembrano come materializzarsi sugli oggetti con un effetto quasi “granuloso” (lo stesso filtro che il team usa per il rendering delle ombre?), ma è davvero una questione di poco conto: su PlayStation Vita non si è visto prima d'ora un titolo così denso, corposo, attento ad esibire dettagli e prodezze grafiche. Quando si arriva allo scontro ravvicinato con gli Helghast, trucidandoli con un letale attacco corpo a corpo, la stessa cura si nota nella realizzazione dei modelli poligonali, caratterizzati in maniera ineccepibile anche sul fronte delle animazioni (gli avversari si acquattano, sparano alla cieca, corrono o strisciano a terra, feriti, aspettando che il giocatore arrivi a dargli il colpo di grazia).
Killzone Mercenary, poi, si distingue anche a livello stilistico. I panorami di Helghan sono ancora tetri e acidi, spazzati costantemente da da un clima burrascoso. I toni quasi rugginosi degli scorci, il look sci-fi dall'anima vintage, l'ossessione per le dominanti rosse, fa sentire a casa i fan di vecchia data e conquista immediatamente, per un prodotto che reclama la sua identità anche grazie all'immaginario così opportunamente scolpito.
Meno interessante l'aspetto sonoro. Il doppiaggio in italiano è buono ed espressivo, ma i brani d'accompagnamento fanno di tutto per stare in secondo piano, e non riescono in nessun caso a trasmettere sensazioni forti. Gli effetti, in larga parte riciclati dai vecchi capitoli, non si distinguono per qualità e pulizia.
Ovviamente non poteva mancare un'opzione per il multiplayer competitivo. Tre modalità e sei mappe (dal design molto piacevole) permettono ad otto giocatori di spararsi senza esclusione di colpi. Il “loadout” può essere personalizzato seguendo le stesse linee guida della campagna principale: questo ci permette di avere un numero importante di armi, ma soprattuto un bel drone Vanguard. Questo si ricarica accumulando uccisioni e rubando le “Valor Card” ai nemici uccisi, secondo un sistema che ricorda molto il Kill Confirmed di Call of Duty: Black Ops 2. In sostanza a seconda del numero di uccisioni che effettueremo e del tipo di arma utilizzata, ci verrà assegnata una carta valore, che cambierà dinamicamente nel corso della partita. Se un nemico riuscirà ad ucciderci potrà rubare questa carta, ed ottenere punti in cambio: ovviamente noi potremo usargli la stessa cortesia.
Il sistema funziona (del resto proprio Kill Confirmed è una delle modalità più riuscite dell'ultimo COD), ma quello che proprio non sembra ben ponderato è il bilanciamento della dotazione bellica. Alcuni potenziamenti del drone Vanguard sono semplicemente più potenti di altri, e non ha nessun senso mantenere la distinzione fra armature pesanti e leggere del single player: lì sacrificare la resistenza ai colpi serviva per fare meno rumore e non essere scoperti dalle guardie, nel multiplayer quasi tutti finiranno per preferire la potenza assurda dell'armatura balistica, che resiste ad una smitragliata di quasi un intero caricatore.
Insomma la dotazione bellica del single player, traslata online, rende l'esperienza di gioco un po' troppo sbilanciata.
Le tre modalità sono poi troppo regolari: deathmatch in singolo o a squadre, e la classica Zona di Guerra ad obiettivi variabili, ormai marchio di fabbrica della serie.
Il netcode sarà pure stabile e la fluidità garantita, ed in certi momenti la soddisfazione per un assalto di squadra ben coordinata resta impagabile: però l'idea è quella di avere per le mani un comparto online visto e rivisto, senza guizzi né spunti particolarmente interessanti.
Il punto di forza di questo Killzone Mercenary è, quindi, solo la sua essenza portatile? Probabile: ad oggi su PsVita (figuriamoci su PSP e 3DS, dove manca la seconda leva analogica) non si è visto uno sparatutto in prima persona che funzionasse alla grande anche in rete.
Killzone Mercenary colma perfettamente questa lacuna, ed a molti basterà per perdonargli qualche leggerezza in fase concettuale ed un set di modalità e mappe non ricchissimo.
Studio Cambridge, ormai inglobato in Guerrilla, sforna un buono sparatutto in prima persona galvanizzato dalla potenza tecnica dell'hardware di PsVita, ma molto regolare, consueto e senza sorprese. Sarà un po' colpa del genere, che ci è stato propinato davvero in tutte le salse, ma ci si mette di mezzo anche una campagna raramente emozionante, fra un set di situazioni già viste ed una trama che non ce la fa neppure a partire alla grande (figuriamoci a decollare).
Il grosso della sostanza dipende quindi da un level design interessante, che però emerge solo giocando e rigiocando i singoli stage, e cercando di portare a termine le sfide e gli obiettivi secondari: così si scopre anche che la grande varietà di armi e gadget può arrivare ad influenzare tantissimo il gameplay, e l'esperienza complessiva risulta varia e malleabile.
Gli appassionati della serie o del genere che daranno più di una chance al titolo potrebbero venire rapiti, mentre chi ha poco tempo da dedicargli e cerca solo una bella avventura può mollare il colpo.
Eccezionale come sempre il comparto tecnico, al di là di qualche esplosione “pixellosa”, la mole poligonale impressiona e certi scorci lasciano a bocca aperta. Il multiplayer è invece un'estensione del gioco in singolo, non molto ricco e neppure bilanciatissimo.
L'idea complessiva è che il titolo si possa apprezzare proprio in virtù del formato portatile: non c'è, su Vita ed in generale nel mercato Handheld, un First Person Shooter che funzioni bene comeKillzone Mercenary. E tuttavia sappiamo tutti che gli FPS possono funzionare meglio di così.
Le nove missioni della main quest, introdotte da briefing piuttosto poveri, raccontano una storia già vista, attentissima ad esaltare l'etica mercenaria già pubblicizzata dal titolo. Fra improvvisi cambi di schieramento, tradimenti, ed una marcata ossessione per il tornaconto personale, le vicende scorrono via in maniera prevedibile, con tanto di epico scontro finale e conclusione buonista ma amarognola. La retorica bellica di Mercenary, purtroppo, è decisamente stanca, sicuramente meno affascinante rispetto a quella degli episodi per console casalinga.
Scesi in campo, invece, si scopre un gameplay che sembra decisamente più reattivo di quello del terzo episodio. Il control scheme si adagia perfettamente sulla dotazione di pulsanti di PsVita, lasciando che il touchscreen venga utilizzato solo per cambiare arma, selezionare le granate, oppure attivare il sistema Vanguard: un drone che può essere equipaggiato con i moduli più disparati per svolgere varie funzioni. Il doppio stick analogico permette di muoverci rapidamente nell'ambientazione, mentre lo sprint si effettua con lo stesso tasto con cui ci si accuccia (a seconda che venga premuto in corsa o da fermo). E' anche possibile eseguire una scivolata per entrare automaticamente in copertura, ma il sistema un po' impacciato degli episodi per Home Console svanisce, per una gestione un po' più naturale, che prevede solo la possibilità di sporgersi in alto e non lateralmente. I movimenti dell'avatar, in ogni caso, sembrano meno costretti, e l'avanzamento segue dei ritmi più vivaci.
Al di là del feeling meno “pesante” (che crediamo fortemente adatto al mercato portatile), Killzone Mercenary si comporta come uno Shooter classico, anche se stavolta le nostre azioni sono ricompensate con denaro sonante. Un colpo alla testa, un'uccisione corpo a corpo, un assassinio silenzioso: tutto serve a rimpinguare il nostro portafoglio virtuale. L'accumulo di bel gruzzoletto è funzionale al gameplay, e di fatto rappresenta il cardine attorno a cui si impernia tutta l'esperienza di gioco. Prima di ogni missione e in appositi punti del livello, è possibile connettersi con i distributori di un mercante d'armi per cambiare integralmente la nostra dotazione bellica.
Killzone Mercenary punta tutto sulla libertà d'approccio, garantendo la possibilità di avanzare a testa bassa, oppure in maniera più silenziosa e letale, mantenendo un basso profilo. Tutto parte dalla scelta dell'armatura: un corpetto pesante che resiste ai colpi ma riduce la mobilità, oppure una tuta leggera che permette di muoversi senza fare rumore? Anche la selezione di armi è bella ampia: ci sono mitragliette silenziate, fucili da cecchino, oppure canne mozze con proiettili incendiari: un ampio spettro di soluzioni che soddisfa proprio tutti.
Persino il sistema Vanguard può cambiare totalmente le sue funzioni a seconda del modulo inserito. C'è ad esempio il letale “Porcupine”, che permette di sparare, con un semplice tap sullo schermo, dei missili a ricerca che mandano all'aria interi drappelli, oppure un drone che emana una carica elettrica e frigge tutti i nemici che si avvicinano. Per approcci più discreti, ci sono invece droni pilotabili che possono uccidere istantaneamente un nemico se lo raggiungono alle spalle, ma sono fragilissimi e non sopportano neppure un colpo. Non mancano poi scudi energetici in grado di resistere ai proiettili o mimetiche ottiche per infiltrazioni.
La conformazione dei livelli cerca di stimolare il giocatore a sperimentare soluzioni sempre nuove, proponendo strade alternative da seguire, e stanze che possono essere attraversate sia ad armi spianate che tenendo un basso profilo.
E' proprio questo aspetto che salva lo story mode dall'anonimato quasi integrale. Portare a termine la campagna è questione di cinque ore o poco più, e dovessimo giudicare Killzone Mercenary dal primo Playthrough non ci faremmo scrupoli a dire di essere rimasti abbastanza delusi. Per fortuna oltre alla possibilità di tentare l'impresa con tre diversi livelli di difficoltà, tutte le missioni possono essere rigiocate con degli obiettivi secondari, catalogati nelle categorie di Precisione, Infiltrazione e Assalto. I compiti richiesti vanno dal passare totalmente inosservati per intere sezioni dello stage a realizzare uccisioni multiple con esplosivi di ogni genere. Oltre a risultare in una sfida decisamente interessante, questi obiettivi spingono il giocatore a sperimentare varie bocche da fuoco, collezionando quindi tutto l'arsenale a disposizione. L'impresa non è facile, e per guadagnare il denaro necessario bisogna faticare parecchio, giocare e rigiocare intere missioni, mentre si memorizzano i pattern dei nemici e le planimetrie dei livelli.
E' così che si scopre che l'avanzamento, in Killzone Mercenary, può variare davvero moltissimo. Giocandolo come un FPS qualunque, con granate e fucile d'assalto, il titolo riesce persino ad annoiare nelle fasi finali. Quando invece ci propone sfide più strutturate le cose migliorano, e non poco. S'intenda: il gioco resta ancora lontano dall'eccellenza, e non fa miracoli, ma almeno rappresenta un passatempo piacevole per partite rapide e focalizzate.
L'approccio “” resta il più consigliato: giocare con troppa regolarità potrebbe far emergere più rapidamente i difetti di Mercenary: oltre ad un gameplay ordinario e regolare, fra essi bisogna annoverare l'Intelligenza Artificiale dei nemici, alle volte abbastanza goffa e disastrosa. Gli Helghast recuperano grazie ad un potenziale offensivo notevole, che costringe ad un approccio cauto, ma non possiamo dire che gli avversari siano tatticamente preparati.
Il comparto tecnico lascia invece entusiasti. Gli stage di Killzone Mercenary sono davvero eccezionali, e le sequenze iniziali di alcune missioni mostrano scorci di una bellezza allucinante.
La trasvolata sul porto di Phyrrus, lungo i canali che circondano l'ambasciata terrestre, o la disca in glide suit mentre le sagome delle astronavi orbitali vengono lacerate dalle esplosioni dei cannoni ad arco. E ancora l'attracco su di un enorme incrociatore in volo, l'assalto alle raffinerie di Petrusite: certe scene sono un tripudio di dettagli, guglie metalliche, massicci rocciosi.
La struttura dei livelli non è da meno: l'enorme estensione di certi ambienti lascia veramente impressionati, soprattutto quando lo sguardo si posa poi sulle vertiginose aperture che inquadrano imponenti edifici o bellissime architetture naturali. Se c'è un merito che si deve dare a Guerrilla Cambridge è quello di aver sfruttato al meglio l'immaginario costruito negli anni dalla saga.
Si nota il pop-up di alcune texture, che sembrano come materializzarsi sugli oggetti con un effetto quasi “granuloso” (lo stesso filtro che il team usa per il rendering delle ombre?), ma è davvero una questione di poco conto: su PlayStation Vita non si è visto prima d'ora un titolo così denso, corposo, attento ad esibire dettagli e prodezze grafiche. Quando si arriva allo scontro ravvicinato con gli Helghast, trucidandoli con un letale attacco corpo a corpo, la stessa cura si nota nella realizzazione dei modelli poligonali, caratterizzati in maniera ineccepibile anche sul fronte delle animazioni (gli avversari si acquattano, sparano alla cieca, corrono o strisciano a terra, feriti, aspettando che il giocatore arrivi a dargli il colpo di grazia).
Killzone Mercenary, poi, si distingue anche a livello stilistico. I panorami di Helghan sono ancora tetri e acidi, spazzati costantemente da da un clima burrascoso. I toni quasi rugginosi degli scorci, il look sci-fi dall'anima vintage, l'ossessione per le dominanti rosse, fa sentire a casa i fan di vecchia data e conquista immediatamente, per un prodotto che reclama la sua identità anche grazie all'immaginario così opportunamente scolpito.
Meno interessante l'aspetto sonoro. Il doppiaggio in italiano è buono ed espressivo, ma i brani d'accompagnamento fanno di tutto per stare in secondo piano, e non riescono in nessun caso a trasmettere sensazioni forti. Gli effetti, in larga parte riciclati dai vecchi capitoli, non si distinguono per qualità e pulizia.
Ovviamente non poteva mancare un'opzione per il multiplayer competitivo. Tre modalità e sei mappe (dal design molto piacevole) permettono ad otto giocatori di spararsi senza esclusione di colpi. Il “loadout” può essere personalizzato seguendo le stesse linee guida della campagna principale: questo ci permette di avere un numero importante di armi, ma soprattuto un bel drone Vanguard. Questo si ricarica accumulando uccisioni e rubando le “Valor Card” ai nemici uccisi, secondo un sistema che ricorda molto il Kill Confirmed di Call of Duty: Black Ops 2. In sostanza a seconda del numero di uccisioni che effettueremo e del tipo di arma utilizzata, ci verrà assegnata una carta valore, che cambierà dinamicamente nel corso della partita. Se un nemico riuscirà ad ucciderci potrà rubare questa carta, ed ottenere punti in cambio: ovviamente noi potremo usargli la stessa cortesia.
Il sistema funziona (del resto proprio Kill Confirmed è una delle modalità più riuscite dell'ultimo COD), ma quello che proprio non sembra ben ponderato è il bilanciamento della dotazione bellica. Alcuni potenziamenti del drone Vanguard sono semplicemente più potenti di altri, e non ha nessun senso mantenere la distinzione fra armature pesanti e leggere del single player: lì sacrificare la resistenza ai colpi serviva per fare meno rumore e non essere scoperti dalle guardie, nel multiplayer quasi tutti finiranno per preferire la potenza assurda dell'armatura balistica, che resiste ad una smitragliata di quasi un intero caricatore.
Insomma la dotazione bellica del single player, traslata online, rende l'esperienza di gioco un po' troppo sbilanciata.
Le tre modalità sono poi troppo regolari: deathmatch in singolo o a squadre, e la classica Zona di Guerra ad obiettivi variabili, ormai marchio di fabbrica della serie.
Il netcode sarà pure stabile e la fluidità garantita, ed in certi momenti la soddisfazione per un assalto di squadra ben coordinata resta impagabile: però l'idea è quella di avere per le mani un comparto online visto e rivisto, senza guizzi né spunti particolarmente interessanti.
Il punto di forza di questo Killzone Mercenary è, quindi, solo la sua essenza portatile? Probabile: ad oggi su PsVita (figuriamoci su PSP e 3DS, dove manca la seconda leva analogica) non si è visto uno sparatutto in prima persona che funzionasse alla grande anche in rete.
Killzone Mercenary colma perfettamente questa lacuna, ed a molti basterà per perdonargli qualche leggerezza in fase concettuale ed un set di modalità e mappe non ricchissimo.
Studio Cambridge, ormai inglobato in Guerrilla, sforna un buono sparatutto in prima persona galvanizzato dalla potenza tecnica dell'hardware di PsVita, ma molto regolare, consueto e senza sorprese. Sarà un po' colpa del genere, che ci è stato propinato davvero in tutte le salse, ma ci si mette di mezzo anche una campagna raramente emozionante, fra un set di situazioni già viste ed una trama che non ce la fa neppure a partire alla grande (figuriamoci a decollare).
Il grosso della sostanza dipende quindi da un level design interessante, che però emerge solo giocando e rigiocando i singoli stage, e cercando di portare a termine le sfide e gli obiettivi secondari: così si scopre anche che la grande varietà di armi e gadget può arrivare ad influenzare tantissimo il gameplay, e l'esperienza complessiva risulta varia e malleabile.
Gli appassionati della serie o del genere che daranno più di una chance al titolo potrebbero venire rapiti, mentre chi ha poco tempo da dedicargli e cerca solo una bella avventura può mollare il colpo.
Eccezionale come sempre il comparto tecnico, al di là di qualche esplosione “pixellosa”, la mole poligonale impressiona e certi scorci lasciano a bocca aperta. Il multiplayer è invece un'estensione del gioco in singolo, non molto ricco e neppure bilanciatissimo.
L'idea complessiva è che il titolo si possa apprezzare proprio in virtù del formato portatile: non c'è, su Vita ed in generale nel mercato Handheld, un First Person Shooter che funzioni bene comeKillzone Mercenary. E tuttavia sappiamo tutti che gli FPS possono funzionare meglio di così.
VOTOGLOBALE 7.5
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