C'è una bellezza limpida ed esemplare nell'artigianalità. Che si mostra -anche se ormai non troppo spesso- in quei videogiochi in cui la componente umana affiora appena al di sopra del mare di pixel e poligoni. E' una bellezza schiva, nascosta: che traspare solitamente nei meccanismi del level design, laddove la creazione geniale sposa il “labor limae”. Ecco: Puppeteer non solo fa proprio questo fascino tutto manuale, ma va oltre: ne esibisce i meccanismi, mette a nudo il processo di meticolosa costruzione di ogni sequenza; sfoggia gli ingranaggi che muovono gli elementi dello stage. E nel far questo resta fedele, praticamente dall'inizio alla fine, al diktat della varietà e del movimento, dimostrando una vivacità inesauribile: è come un'immensa raccolta di scene diversissime, di piccoli esperimenti, di trovate geniali.
Prodotto da Japan Studio sotto la direzione attenta di Gavin Moore, Puppeteer fa esplodere la tradizione classica del platform, ne raccoglie i frammenti, e li utilizza per costruire scenografie intricate, sequenze sempre nuove, conducendoci attraverso un racconto mutevole e vivacissimo.
Sebbene sia arrivato l'eccezionale Rayman Legends a reclamare il trono che meritatamente gli spetta, Puppeteer entra di diritto nell'alveo dei platform più brillanti e riusciti degli ultimi tempi, perché sa proporre ritmi unici, tratti caratteriali molto forti, ed un'attenzione inedita per l'aspetto narrativo, che fra salti e piattaforme non si vedeva da un bel po'.
Puppeteer racconta la storia di Kutaro, catturato dal malvagio Re Orso della Luna e trasformato in una marionetta per servire nel suo castello. Il terribile tiranno ha spodestato la legittima regina del pallido corpo celeste e, arroccato nel suo Castello Nero, rapisce le anime dei bambini intrappolati nei sogni più cupi.
Al nostro giovane protagonista tocca in sorte un infausto destino: il Re Orso, infuriato, si mangia la sua testa e getta il corpo decapitato. Trovato un rimpiazzo di fortuna per il capoccione, Kutaro viene indirizzato da una torbida Strega e comincia la sua avventura per salvare la Luna, accompagnato prima da uno strano gatto volante, e poi da una fatina che dichiara di essere figlia del Re del Sole.
Fin da subito Puppetter rivendica la sua unicità: il look del titolo si ispira alle suggestioni delBunraku, il teatro giapponese delle marionette. Le sequenze narrative (così come poi saranno quelle giocate) sono un viavai interminabile di burattini, pupazzi di legno, oggetti di cartone: dinamiche e mutevoli, si evolvono continuamente, come se fossero animate dal fare laborioso di attori invisibili. Prima di ogni livello l'onnipresente sipario si apre, mostrando un palco galvanizzato dagli applausi del pubblico.
Le luci si attenuano, i riflettori si posano sui corpi delle marionette, seguendo i guizzi di protagonisti tirati da fili nascosti. Anche in questa esibita teatralità sta l'eccezionalità di Puppeteer: Japan Studio mescola con attenzione sequenze giocate ed ampi intermezzi narrativi, cercando di puntare non solo sul gameplay, ma anche sulla meraviglia tutta spettatoriale di una storia stracolma di personaggi.
Sulle prime, ma in qualche caso anche nelle fasi avanzate dell'avventura, sembra che l'attenzione per il racconto diventi quasi smodata, allentando un po' troppo i ritmi di gioco e “fagocitando” la componente interattiva. Per apprezzare fino in fondo il titolo di Japan Studio serve anche la predisposizione a meravigliarsi per le scene animate, lasciandosi trasportare dalla voce di un narratore che, mentre racconta la storia, interagisce con i personaggi, commenta e interviene in ogni momento.
Aiuta notevolmente, per chi mastica l'inglese, il doppiaggio originale, vivamente consigliato e sostanzialmente perfetto. Non che quello italiano non sia valido: anzi, è sempre espressivo e ottimamente interpretato, sorretto da un adattamento precisissimo e da un cast indovinato. Eppure -provare per credere- in “lingua originale” il gioco guadagna non poco, srotolando nei sette atti di cui è composto questa sua favola universale.
Al prevedibile lieto fine si arriva attraverso un percorso tutto particolare, che si sforza in ogni modo di moltiplicare i livelli di lettura, strizzando l'occhio ai più piccoli ma incantando anche i giocatori ormai adulti. Ci sono scenette dalla comicità un po' spicciola, ma il viaggio di Kutaro è ugualmente affascinante: l'assalto ai dodici luogotenenti del Re Orso ci porta ad affrontare tutti gli animali dell'oroscopo cinese, che sembrano però aver invaso i mondi delle favole classiche: gli abissi della Sirenetta (con tanto di eccezionale intermezzo cantato), i giardini di Alice, i tetti londinesi di Peter Pan, il bosco di Biancaneve, il ponte del Cavaliere senza Testa come lo raccontava Irving ne “Il Mistero di Sleepy Hollow”.
L'immaginario costruito dalla fervida fantasia di Moore e del suo team mescola ispirazioni e cosmogonie, ed il risultato è -dal punto di vista scenico- avvolgente e brioso come pochi. Era forse dai tempi del primo Little Big Planet che non si vedeva un Platform così fresco nella scelta delle ambientazioni.
C'è da ribadire comunque che la determinata insistenza sul racconto, che passa anche da unamimica molto esibita, potrebbe non essere compresa da tutti i giocatori: soprattutto da quelli che in un platform cercano ritmi meno frammentati. Eppure non si può fare a meno di lodare il titolo anche il coraggio nel voler a tutti i costi raccontare una storia che, pur nel suo svolgimento regolare, finisce per appassionare.
Come si diceva, Puppetter è un gioco che non sta mai fermo. Anche quando si prende il controllo di Kutaro, la scena resta composta da elementi mobili, che spariscono all'improvviso e ricompaiono ad ogni volta che cambia il setting. Tutto si muove, come tirato da carrucole e meccanismi di scena: lo spettacolo che si para davanti al giocatore è vorticoso e avvolgente.
Ma anche per quanto riguarda il gameplay Puppeteer sa rivendicare un'indole in qualche modo nuova. In fondo sempre di un platform a scorrimento bidimensionale stiamo parlando. Ma di un platform che si riempie di elementi nuovi, capaci di riscrivere le regole classiche del genere. Anzitutto, il nostro compagno di viaggio (la piccola Pikarina) si muove sullo schermo seguendo gli impulsi della leva analogica di destra (o di un secondo giocatore). Oltre al protagonista è quindi possibile controllare l'inseparabile fatina, che illumina le stanze buie con la sua pancia fluorescente, e cerca negli angoli e dietro gli oggetti delle nuove teste per Kutaro.
Brutalmente decapitato, il nostro protagonista ha bisogno di mettersi qualcosa sul collo: una testa di bambola, una classica zucca, un teschio abbandonato in un angolo, ma anche banane e creature di ogni tipo. Ognuna delle cento teste disponibili ha una sua abilità speciale, che può essere utilizzata per interagire con certi elementi dello scenario e sbloccare scorciatoie, scene bonus (strutturate come classici mini-giochi) e frammenti di pietra lunare. Kutaro può portare con se fino a tre teste alla volta, compresa quella che “indossa”: se verrà colpito dovrà inseguire il suo capoccione rotolante, ed avrà solo tre secondi per recuperarlo. Perdere tutte le teste significa ricominciare lo stage.
Mentre Kutaro zampetta dietro al suo cranio i giocatori di vecchia data saranno colti da qualche reminiscenza dell'indimenticabile Yoshi's Island, ed il parallelo non è poi così azzardato: nella storia del platform ci sono pochi titoli così ricchi e densi come il capolavoro Nintendo ed il Puppeteer di Japan Studio.
Kutaro sfrutta anche i poteri del Calibrus, un paio di forbici magiche che il nostro eroe ruba al sovrano della luna, e con cui taglia drappi, liane, corde e tessuti. Il Calibrus, oltre ad essere utile per sbarazzarsi dei nemici, ci permette di interagire con gli elementi dello scenario, trascinati di forbiciata in forbiciata. Stupisce l'estrema varietà con cui Puppeteer utilizza questa risorsa, per “allestire” strane corse ad ostacoli, boss fight, puzzle e passaggi che richiedono tempismo e precisione. Poco a poco, il Calibrus diventerà quasi lo strumento principale attraverso cui il protagonista si muoverà negli stage: tagliando a tempo gli oggetti di scena dovremo arrampicarci, schivare trappole e fiammate, liberare nuove strade.
Forse è proprio questo cambiamento di prospettiva che rende Puppeteer così unico: il salto non diventa è più il cardine del gameplay. Anzi è un po' impacciato e, diranno i puristi: impreciso. Ma il fatto è che Kutaro ha le sue forbici magiche, con cui schizza da ogni parte.
Nel corso dei primi quattro atti la dotazione di Kutaro aumenta: entrato in possesso di quattro teste speciali, il nostro eroe può usare uno scudo per deflette i proiettili, e un uncino (piratesco) per agganciare e tirare elementi dello scenario. Può lanciare una bomba (grazie al potere del Ninja) e acquisire la forza del lottatore che gli permette di trascinare elementi dello scenario ed eseguire poderosi tonfi a terra.
Poco a poco tutti questi elementi finiranno per confluire nelle soluzioni di un level design più articolato, attentissimo a calcare vie sempre nuove. Ci sono certi espedienti che si ripetono di atto in atto, come le corse che ricordano quelle a rotta di collo nei carrelli di Donkey Kong. Ma per il resto Puppeteer riesce nell'intento di consegnare al giocatore esperienze sempre nuove. Magistrali, in questo senso, i boss fight, ispiratissimi e ben tenuti dall'inizio alla fine.
E' un peccato che Puppetter sia in fin dei conti un platform un po' troppo facile. “Perdere la testa” non è un'evenienza che capita spesso, e nel corso del gioco si accumula una quantità di vite semplicemente impressionante. É vero che ad ogni Game Over si ricomincia dall'inizio dell'ultima sequenza, ma superare anche i momenti più insidiosi è insomma questione di poco conto. Ci sarebbe poi, per i completisti, la possibilità di cercare tutte le “Larve” presenti nel livello, tutte le teste segrete o una scena bonus, che si sblocca portando la testa giusta nel posto giusto. In fondo si tratta di una sfida non semplice e pure piacevole da affrontare, ma forse la struttura di gioco non stimola a dedicarsi all'impresa come invece fa quella del già citato Rayman Legends.
Si può dire però che, pur senza la precisione millimetrica del titolo Ubisoft (o dell'eccezionale Super Luigi U), Puppeteer convince: proprio perchè tiene sempre altissima la curiosità dl giocatore, guidandolo attraverso una progressione ben diretta, stimolante, che non tralascia mai il fascino della scoperta. Puppeteer non sarà ricordato come un platform “rigoroso”, ma è comunque un titolo originalissimo, vivace, inestinguibile e, soprattutto, magico.
La meraviglia del suo incantesimo passa dal comparto stilistico come da quello tecnico: pur nella sua semplicità, le scene di Puppeteer sono un tripudio di effetti, colori, shader. Per contenuta che sia la mole poligonale, i tagli di luce riescono sempre a valorizzare la mole inesauribile di modelli diversi, di oggetti che si accalcano sul fondale, accatastandosi nelle “quinte” e nei panorami di questo movimentato teatrino. La regia vanta un dinamismo eccezionale, con inquadrature coraggiose e spericolati cambi di prospettiva (indimenticabile la gara sulla statale all'inseguimento di Toro e Cavallo, ma anche l'ora del tè in compagnia di Coniglio).
Anche la colonna sonora gioca ovviamente un ruolo fondamentale nel titolo Japan Studio, perché riesce a sottolineare l'incedere trottante di un eroe in miniatura, caratterizzando il viaggio di Kutaro con sbuffi di note che si adeguano all'atmosfera generale: funerei nei cimiteri infestati, esultanti nell'arena dei luchador, epici negli scontri con i boss.
Puppeteer è l'incrocio fra un platform dal level design eccezionale ed un racconto fantastico. Le due anime della produzione, quella spiccatamente teatrale e quella ludica, si incrociano a più riprese, si penetrano e si influenzano a vicenda, ed entrambe concorrono così a dipingere -scena dopo scena- il viaggio eccezionale di Kutaro e delle sue Forbici Magiche. Da una parte ci sono le suggestioni del Bunraku, la gestualità quasi rituale delle marionette, ed una storia traboccante di personaggi, ambientazioni ed oggetti. Dall'altra un platform bidimensionale bello vivace, che rispetta la tradizione ma si impegna a promuovere il nuovo. Ed è sorretto soprattutto da un level design che non sta mai fermo, e continua a stuzzicare il giocatore con trovate sempre nuove. Quella diPuppeteer è una splendida operazione sui ritmi dell'avanzamento e sull'orizzonte d'attesa del giocatore, che si stupisce e si meraviglia di quadro in quadro.
Alle volte l'impasto narrativo tende a frammentare eccessivamente il ritmo di gioco, e la facilità con cui si superano anche gli ultimi livelli spunta un attimo le armi (no: le forbici) di Japan Studio.
Ma è importante ribadire che Puppeteer è qualcosa di mai visto prima: una proposta nuova ed originale, capace di raccontare una storia universale e di distinguersi dagli altri congeneri. Coraggioso con un impatto artistico forte come pochi: Puppeteer è una sorpresa da non lasciarsi sfuggire.
VOTOGLOBALE 8.8
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